“Io da grande vorrei fare la giornalista. Per favore, aiutateci. Fate in modo che le scuole non chiudano, è importantissimo per il nostro futuro”. Per Spuzmai, 11 anni, studiare è la cosa più importante. Con la sua famiglia vive a Kandahar, città tornata facilmente sotto il controllo dei talebani a seguito di una rovinosa ritirata da parte delle forze governative che, nella fuga rocambolesca, hanno lasciato dietro tutto: armi, munizioni, elicotteri e il materiale fornito dagli Stati Uniti e dai Paesi della Nato in questi venti anni di presenza militare sul territorio.

Nell’Afghanistan dei talebani i bambini non possono giocare, non possono leggere e non possono studiare se non il Corano. Le bambine vengono date in sposa a uomini molto più grandi di loro e non se ne parla di aprire un libro. “Noi rispetteremo i diritti delle donne. Non ci opporremo alla loro istruzione purché sia in linea con la tradizione islamica”, ha detto il portavoce dei talebani Suhail Shaheen alla BBC proprio mentre i suoi uomini si apprestavano ad entrare a Kabul.

I talebani non cambieranno mai. É inutile cercare di dialogare con loro, non cambieranno mai”. Matiullah Wesa ha 29 anni ed è originario di Kandahar. La ferocia dei talebani la conosce molto bene. “Quando frequentavo le elementari nel distretto di Maruf, provincia di Kandahar, hanno fatto irruzione nella mia scuola. Hanno cominciato a bruciare tutto mentre gridavano a noi bambini di stare zitti e di non piangere. Noi eravamo terrorizzati. É stato in quel momento che ho capito che dovevo fare qualcosa, che quello che ho vissuto io, non doveva riviverlo nessun altro bambino”.

Da giovanissimo, nel 2009, insieme al fratello Attaullah, Matiullah Wesa ha fondato PenPath, un’associazione con la quale, in 11 anni di attivismo, è riuscito a far riaprire 100 scuole che erano state chiuse nelle province di Kandahar, Zabul, Khost, Helmand e Herat, garantendo l’accesso all’educazione a centinaia di bambini, nonostante la pesante presenza talebana. “Un popolo istruito è un popolo che può costruire una pace e una stabilità duratura. Ma ora ho paura che tutti gli sforzi, i sacrifici fatti in questi anni, vadano in fumo” , dice Matiullah. Ora si trova a Kabul. “La situazione qua è grave, mi sento in pericolo. Ogni giorno mi dicono di fermarmi perché rischio grosso, ma io non mi fermo, è importante per il futuro del mio paese. I talebani dicono al popolo di non avere paura di loro, dicono che sono cambiati, ma non è così”. Questo è evidente da alcuni particolari che, in realtà, particolari non sono. Con l’arrivo degli estremisti a Kabul, infatti, ogni immagine femminile sui manifesti per strada è stata oscurata, le giornaliste straniere che fino a due giorni fa, facevano dirette televisive con i capelli al vento, ora sono costrette a coprire il capo con il velo, il tutto per non urtare la sensibilità di chi, da ieri, ha ripreso il controllo del paese. In tutto questo, la promozione dell’ istruzione, soprattutto delle donne, continua ad essere la priorità per Metiullah Wesa. “ L’istruzione delle bambine- dice Metiullah al Fattoquotidiano.it– non è solo un diritto che loro hanno, ma è fondamentale per rendere il Paese stabile e prospero. Ecco perché noi come PenPath ci impegniamo a garantire l’accesso all’istruzione a tutti i bambini.”

Con la sua organizzazione che conta 2.300 volontari di cui 400 sono ragazze, l’attivista afghano ha avviato diverse campagne per la promozione del diritto all’istruzione, provvedendo a fornire libri e tutto il materiale necessario, dalla cancelleria alle lavagne, per cercare di garantire un futuro ai giovani che si trovano nelle aree più remote e inaccessibili del paese. Con l’iniziativa #1book4peace, ad esempio, Matiullah ha raccolto più di 340.000 libri che ha distribuito ai bambini andando casa per casa. In Afghanistan, dove almeno il 60 per cento dei 3,7 milioni di minori che non vanno a scuola è costituito da bambine, le biblioteche mobili di Pen Path – che includono libri di storia, geografia e narrativa in Pashtu e Dari, le lingue ufficiali del paese – continuano ad educare ragazze come Spuzmai. Anche se gli ostacoli sono tanti e la situazione politica attuale non farà altro che peggiorare la condizione dei più vulnerabili. Tra gennaio e giugno, infatti, 468 bambini sono stati uccisi. “Spesso, sono proprio le famiglie a decidere di non mandare a scuola i figli perchè hanno paura per la loro vita. Così, andiamo casa per casa, distretto per distretto, per convincere le famiglie – dice Matiullah – ma la paura di ritorsioni da parte dei talebani è grande”. Allora, ci si rivolge ai leader tribali e religiosi del posto che, fino a qualche tempo fa, riuscivano a mediare fra gli estremisti e le popolazioni locali. “ Nelle aree controllate dai talebani, siamo riusciti a costruire scuole grazie alla mediazione dei leader locali”.

“Vogliamo la pace all’interno del paese e con gli Stati vicini, insieme al rispetto dei diritti umani fondamentali”, dice l’attivista, “Il mio messaggio alla comunità internazionale è questo: non lasciateci soli, per favore, fermate questa guerra”.

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