Qui Radio Londra. Istruzioni per l’uso di Italia-Inghilterra, 11 luglio. Ampiamente prevista la presenza in finale dell’Inghilterra, agevolata da un compiacente tabellone. La sorpresa – per gli inglesi – è trovarsi come avversaria l’Italia. Si aspettavano la Francia, per un classico redde rationem. Ma i campioni del mondo sono stati eliminati dalla cenerentola Svizzera. In seconda battuta, si erano preparati ad affrontare il Belgio, numero 1 del calcio secondo la Fifa. Però è stato sconfitto dagli Azzurri. In alternativa, si attendevano la Spagna. Eliminata tuttavia dall’Italia. Il che scompagina un poco i piani.

L’Italia è sempre stata ostica, difficile da espugnare. Nei 27 incontri fra le due nazionali, si contano 10 vittorie azzurre, 8 quelle inglesi e 9 pareggi.

A vantaggio degli inglesi, il fatto oggettivo che giocano a casa. Il Wembley è lo stadio ufficiale dei “Three Lions”. A loro (piccolo) svantaggio, i precedenti storici. Ossia, il bilancio negativo nei 15 campionati europei sinora disputati: in cinque occasioni i Leoni non si sono qualificati. In quattro edizioni si sono bloccati al primo turno. Due volte hanno raggiunto i quarti, una gli ottavi, nel 1996 sono approdati in semifinale, nel 1968 si sono piazzati terzi. La Premier League, il campionato più ricco del mondo (vale 39 miliardi di euro) pretende il successo. Vendicare questo modesto passato, però, può solo essere da stimolo. Una ragione in più per liquidare l’Italia.

L’Inghilterra, inoltre, ha un formidabile atout. La squadra selezionata da Gareth Southgate è l’unica di questo Euro che può contare su una formazione “aumentata”. Ossia l’inedito ma efficace modulo che ha domato la Danimarca: 3-4-3 più 1. L’uno non è il portiere, bensì BoJo. Al secolo, Boris Johnson. Il premier britannico gioca infatti dalla tribuna. Il suo “peso” nelle dinamiche psicologiche è fondamentale. Anzi, fondamentalista.

Come dimostra un filmato del 3 maggio 2006. Match Legends. Quel giorno al Madejski Stadium di Reading si disputa una partita di beneficenza tra “celebrities” inglesi e tedesche per il 40esimo anniversario del Mondiale vinto nel 1966 (in casa: dettaglio essenziale…) dall’Inghilterra sulla Germania ai supplementari per 4 a 2, dopo che i tempi regolamentari erano finiti sul 2 a 2, col pareggio tedesco all’89esimo. Boris indossa la maglia rossa numero 10. Pare tarantolato.

Siamo quasi al termine della partita che le vecchie glorie della Germania, in maglia bianca, conducono 4-2. All’86esimo e 53 secondi, Maurizio Gaudino, ex pilastro della Die Mannschaft e del Manchester City negli anni Novanta, è in possesso del pallone ed avanza sulla fascia destra. All’improvviso, da una decina di metri, Boris abbassa la testa come fanno i caproni per caricare. Punta Gaudino: corsa forsennata sempre a capo chino. Una craniata terribile colpisce Gaudino ai cabasisi. Placcaggio inconcepibile. Il numero 6 tedesco si accartoccia, resta piegato, in ginocchio, stravolto dal dolore. L’arbitro è interdetto. Ma non espelle Johnson che si rialza e scappa via, facendo un largo giro. Ha gli occhi spiritati.

Poi, capisce d’averla fatta grossa e si mette le mani fra i capelli. Simula un senso di colpa. Wilkins, l’ex giocatore del Milan, lo avvicina e gli sussurra qualcosa. Boris si allontana dalla scena del delitto. La folla, invece, lo acclama: “Vogliamo Boris! Vogliamo Boris!”, il coro è accompagnato da fragorose risate.

Il calcio non è uno sport per signorine, è un dei princìpi inculcati fin da piccoli ai ragazzini che giocano al football. La veemenza è una caratteristica degli inglesi. Partono a testa bassa e attaccano a folate. Non puoi snaturare l’anima del loro gioco. Se poi ci sono in più le folate di talento giovanile, come quelle di Saka, Foden, Bellingham (fresco diciottenne) e Rice, allora sono guai per tutti. Inoltre, si aggiunge la geniale anarchia di Grealish, l’idolo di Wembley, e la frenesia di Sterling, giamaicano naturalizzato british.

Altro significativo elemento a nostro sfavore. A Wembley impera un solo canto: “Football’s coming home”, il calcio – il “nostro” calcio – sta tornando a casa. Lo cantano a squarciagola, e Boris è il tenore. Lo cantano per scaramanzia. E per presunzione. Era l’inno del 1996, quando proprio Southgate (allora militava nell’Aston Villa), la sera del 26 giugno (a Wembley: vedete come tutto torna…), nella semifinale dell’Europeo, si fece parare il rigore decisivo dal portiere tedesco Koepke e condannò l’Inghilterra all’eliminazione. Mai più. Il calcio è nato qui. È giusto che l’Euro consacri l’Inghilterra, God save The Queen and the Football. L’esultante principe William vuole il trofeo: “L’intero Paese sarà con voi!” ha detto ai suoi calciatori, “portiamo a casa la finale!”, gli ha fatto eco Boris Johnson. Draghi, se ci sei, batti (almeno) un colpo!

Ora, miscelate lo spirito scorretto e battagliero di Johnson, che propugna la Brexit totale, ma non quella del calcio. Aggiungete la silenziosa, cocciuta, orgogliosa rivalsa di Southgate che stavolta è riuscito a portare l’Inghilterra nella finale dell’Euro, per la prima volta in 61 anni, da quando cioè esiste il torneo. Più che un risarcimento, il popolo del football inglese lo considera un segno del destino. Shakespeare e Dickens. Febbre a 90 e il Maledetto United…

Infine, last but not least, spruzzate sopra questo cocktail calcistico e non la sudditanza degli arbitri. Palese quella manifestata nella semifinale con la Danimarca. La partita, dopo l’1-1 dei tempi regolamentari, pareva indirizzata alla lotteria dei rigori, di nefasta memoria… così, a risolvere il problema ci ha pensato l’olandese Danny Makkelie, baldo trentottenne. Al 102esimo, Raheem Sterling, l’ala del Manchester City che è il migliore degli inglesi, s’infila di prepotenza nell’area danese. In campo, però, oltre al pallone che ha tra i piedi, ce n’è un altro. A norma di regolamento, la partita dovrebbe essere interrotta. Makkelie e i suoi assistenti fanno finta di nulla. Sterling viene contrastato da Jensen e da Mehle, che lo sfiora appena. Sterling si lascia cadere con teatralità da far invidia agli attori dell’Old Vic. La folla ulula. Boris Johnson scatta in piedi, strepita, reclama il rigore. Makkelie punta il braccio, assegna la massima punizione. Il check del Var lo conferma. Più la tv rimanda le immagini e più si rafforza il dubbio, il contatto è minimo. Forse non c’è neanche.

Per riassumere. L’Italia giocherà contro gli undici inglesi in campo e il dodicesimo BoJo in tribuna, ma avrà contro il pubblico (stadio zeppo, 60mila spettatori alla faccia della variante Delta), contro i baroni dell’Uefa che hanno concesso a Londra 11 partite delle 54 in programma, soprattutto le due semifinali e la finale. E l’arbitro, ben conscio di quanto delicata sia la sfida, perché questo Euro è una cassa di risonanza delle tensioni politiche, un simbolo molto forte che Johnson sta strumentalizzando per recuperare una popolarità in calo, causa Brexit e Covid. Una vittoria annunciata, ma non ancora conquistata.

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