Alla cortese attenzione della redazione del vostro giornale,

mi chiamo Elena Sugaroni e spero che in qualche modo le mie parole possano giungervi.

Il 30 giugno 2021, a Roma, nel centro di Via Odescalchi mi sono sottoposta alla inoculazione della prima dose di vaccino anti Covid-19, sinceramente contenta che fosse arrivato anche il mio momento.

Munita di molta pazienza, perché già avvisata dai miei medici curanti, mi sono recata al centro vaccinale con tutto il mio fascicolo di carte e documenti vari. Tra questi, una cortese richiesta scritta dalla mia dottoressa, con la quale si raccomandava fortemente la vaccinazione su coscia o gluteo, per me particolarmente indicata. Da poco, infatti, ho scoperto di essere portatrice di una mutazione genetica (BRCA1) che mi espone a un elevatissimo rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie. Proprio per questo, in un futuro abbastanza prossimo, dovrò iniziare, mio malgrado, a fare prevenzione. Di qui, l’opportunità di evitare l’inoculazione del vaccino su braccio. Quest’ultima, infatti, causandomi molto probabilmente un ingrossamento dei linfonodi del seno e del cavo ascellare, mi costringerà a rimandare esami diagnostici già programmati da mesi.

Bene, la situazione che si è presentata ieri è stata allucinante.

Il medico non sapeva minimamente di cosa stessimo parlando (“E che cosa sarebbe BRCA?”). Ha chiamato nella stanza un altro dottore e sono trascorsi 5 minuti buoni mentre loro si passavano di mano in mano la richiesta del mio medico come se fosse scritta in lingua sconosciuta. Che una persona non del mestiere non conosca la mia mutazione è accettabile, che non la conosca un dottore, francamente, a mio modesto avviso, non lo è per niente.

Questi dottori, esterrefatti, mi hanno persino domandato quale sia il significato di “chirurgia profilattica”. Trovo che sia molto grave.

A fronte delle mie delucidazioni e nonostante abbia spiegato che molte donne (ancora sane o già ammalate) sono state ascoltate e hanno ricevuto il vaccino su coscia/gluteo, il personale che mi sono trovata di fronte ieri ha opposto un rifiuto netto, dicendomi che “il protocollo non prevede nulla di simile”. A detta loro, che si sono messi a contestare le mie dichiarazioni sullo stato di salute di mia madre (già paziente oncologica e portatrice della stessa mutazione, con un accertamento recente di linfonodi ancora molto ingrossati e doloranti nonostante la sua vaccinazione si sia conclusa nello scorso mese di marzo), tutto ciò che dicevo era “non vero”.

In buona sostanza, vaccino su braccio oppure potevo andarmene senza niente. La mia insistenza è servita solo a farmi rivolgere parola dall’infermiera, la quale, dall’alto della sua invidiabile educazione, mi ha detto: “Cosa pensi, che se te lo facciamo dove lo chiedi il vaccino ti si ferma al culo e non sale sopra?” (mi scuso, ma ho riportato testuali parole). Consapevole di non avere conoscenze specifiche in merito, perché i miei studi sono stati altri, sono solita affidarmi ai medici di un’unità senologica specializzata e se questi ultimi mi hanno consigliata in questo senso ritengo che, forse, ci sia un valido motivo.

Dopo tutta questa lunga ma doverosa premessa, in aggiunta a quanto già esternato sui miei canali social con apposito tag rivolto alla Regione Lazio e al Ministero della Salute, se mi è consentito, vorrei esprimere anche a voi il mio disappunto e dire che sono indignata, dispiaciuta, frustrata. Sono arrabbiata e demoralizzata per l’ignoranza, l’arroganza e la supponenza di coloro che mi sono trovata di fronte. Sono ancora molto alterata perché queste persone non sapevano nemmeno quale fosse il mio problema (ribadisco, mutazione genetica BRCA1). Perché queste stesse persone non hanno avuto la delicatezza di confrontarsi con una giovane ragazza di soli 25 anni che diceva loro di dover programmare entro breve un intervento per lo svuotamento del proprio seno.

Immagino soltanto la responsabilità di chi ricopre questi ruoli, ma speravo di potermi interfacciare con menti più elastiche, proprio come quelle incontrate da tante altre donne che, nella sfortuna, sono state più fortunate di me.

Tra l’altro, sempre se possibile, al team medico che mi ha vaccinata, vorrei suggerire di appellarsi meno al protocollo. Perché quel protocollo in nome del quale non hanno considerato il mio stato di salute e non hanno nemmeno provato a capire le mie esigenze, costringendomi a rimandare i miei controlli e il mio percorso di cura, è anche lo stesso importantissimo protocollo che prevede di fare l’anamnesi al paziente prima dell’inoculazione. Anamnesi che, dopo le mie lamentele alquanto rumorose, mi è stata fatta solo nella sala d’aspetto ben 15 minuti dopo la vaccinazione!

È uno sfogo che probabilmente non servirà, intanto però, proprio come ieri, mi sembrava opportuno e quanto mai necessario far sentire la mia voce.

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