In questi ultimi mesi diversi episodi di stupro sono balzati sulla cronaca dei giornali. Ho una certa ritrosia a parlarne perché ho il timore che, come accade per il suicidio, l’esposizione mediatica possa incentivare questi comportamenti, invece che scoraggiarli. Sappiamo da diverse ricerche internazionali che, se si parla sui giornali, sui libri o si offre risalto nella cronaca a casi di suicidio, nelle settimane immediatamente successive se ne determinano altri, a volte con ritmo impressionante. Nel caso dello stupro non mi risultano studi su eventuali effetti emulativi, ma la sensazione è che, lungi dallo scoraggiare tali comportamenti, le notizie di cronaca determinino un incentivo, in persone fragili mentalmente.

Dopo quarant’anni di lavoro psicologico sono convinto che i casi di violenza sessuale, più o meno gravi, siano molto numerosi. Solo la punta di questo nascosto iceberg emerge negli atti giudiziari e nelle denunce, mentre la maggioranza viene nascosta. Negli ultimi decenni mi pare che l’elemento più grave sia l’aver permesso che l’informazione sessuale dei nostri giovani avvenga, per gran parte, attraverso siti pornografici. Purtroppo, quella che viene definita come educazione sessuale è quasi sempre fallimentare, sia per mancanza di mezzi, sia perché si arena contro ideologie e credo religiosi che non ne vogliono sentire parlare.

Quando si prova a fare un discorso ai giovani in questo ambito ci si scontra subito col problema di “chi educa l’educatore?”. La sessualità è qualcosa che si situa fra il conscio (desiderio) e l’inconscio (erotismo) e fra il corporeo (ormoni) e il razionale (progetto). Si tratta di un terreno di difficile esplorazione in quanto, come affermava Freud, tutti “quando parlano della sessualità indossano un pesante cappotto (vera fabbrica di menzogne) per nasconderla, come se nel mondo del sesso facesse sempre brutto tempo”. Definire che qualcuno è equilibrato e idoneo ad educare altri in questo ambito è arduo in quanto, inevitabilmente, ognuno di noi avrà le sue piccole o grandi difficoltà.

Per sfuggire alla parzialità dell’educatore si può pensare di fare un discorso esclusivamente scientifico, soffermandosi su parti anatomiche, ormoni o consuetudini sessuali, desunte dagli studi antropologici. Questi modelli educativi sono auspicabili, ma non risolvono il problema perché è come se per educare alla musica spiegassimo come è fatto il violino e come funziona l’archetto. Rimangono celati il mistero, il desiderio impalpabile, la tensione e l’abbandono: tutte componenti difficilmente codificabili. Le convinzioni religiose, le impostazioni ideologiche e la gelosia verso i figli, vissuti come “propri”, rendono poi ogni modello educativo criticabile e terreno di facile scontro.

Frutto di tutta questa difficoltà è il nulla o il molto poco nel campo dell’educazione sessuale. Rimane, quindi, l’informazione che i giovani prendono a piene mani dai siti erotici, per lo più pornografici, che prolificano con fatturati enormi sul web. In queste rappresentazioni del sesso l’uomo viene immancabilmente descritto come animale dominante e la donna, come sempre, desiderosa di essere dominata.

Nella mente dei nostri giovani questi modelli, assolutamente distorti ai fini della vendita del prodotto pornografia, sono molto potenti. Come conseguenza molti ragazzi vivono l’idea di una sessualità “predatoria”, caratterizzata dalla fantasia di un incontro occasionale in cui la donna e l’uomo devono interpretare dei ruoli stereotipati. Si immagina che tutte le “femmine” si comportino come le comparse dei film erotici. I ragazzi fanno parte di compagnie che divengono “branco” , nelle quali occorre dimostrare di non avere paura e andare fino in fondo, in quanto il vissuto dominante del gruppo presume che la donna, dapprima recalcitrante come nei film, diverrà a breve una assatanata desiderosa di sesso.

Molti ragazzi e ragazzini sono fragili e si accodano al capobranco che, spavaldo, li guida. Questi è il più mentalmente fragile di tutti, in quanto ha bisogno dell’approvazione degli altri per dimostrare a se stesso di “non essere fro*io”, parola che nel gergo del branco significa essere un debole, pieno di desideri inespressi e di fantasie. Spesso questi capibranco hanno genitori che ostentano il loro “machismo” (paradossalmente le madri più dei padri) e non mostrano mai apertamente delle debolezze, per cui il vero uomo o donna, come recitava uno slogan pubblicitario, “non deve chiedere mai”.

La vera educazione sessuale sarebbe quella in cui si valorizzano proprio queste caratteristiche di debolezza e fragilità, presenti in ognuno di noi, di fronte al mistero della vita che la sessualità ci offre, facendo capire che la titubanza, il rossore, il sogno e la passione in questo ambito sono elementi normali e bellissimi. Non credo invece alla deterrenza delle condanne esemplari o del “buttiamo via le chiavi”, anche perché nell’adolescenza-prima giovinezza c’è una forte attrazione verso il rischio. Proprio perché ci troviamo di fronte a persone fragili, la giusta punizione occorre che ci sia accompagnata da una smitizzazione del loro comportamento.

Nei mezzi di informazione deve apparire chiaro che non si tratta di “ganzi” o delinquenti colti in fallo, ma di ignoranti paurosi (che hanno paura dell’altro quando, non più oggetto o bambola gonfiabile, diviene persona) e che nascondono le loro inadeguatezze dietro questi atti efferati.

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