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Paolo Cognetti a FqMagazine: “La montagna te la conquisti con la fatica, non ci sali in auto. La mia ‘Parete Nord’? È il Mont Nery, lo vedo da casa ogni giorno quando mi sveglio”

L’autore de Le Otto Montagne (Einaudi) - oltre un milione di copie vendute e tradotto in più di 40 lingue - racconta in esclusiva al FQMagazine l’entusiasmo nell’aver tradotto la graphic novel Parete Nord di Jean-Marc Rochette (L’Ippocampo); il suo nuovo libro che uscirà ad ottobre 2021; e il film con Luca Marinelli e Alessandro Borghi che stanno girando vicino alla baita dove vive tratto dal suo romanzo: “Solo Bud Spencer e Terence Hill potevano essere una coppia migliore”

di Madron e Turrini

“Dov’è Lucky?”. Per un attimo Paolo Cognetti perde il suo cane tra i tavoli, al chiuso, del rifugio Pranzo di Babette, ad Estoul in Valle d’Aosta. L’autore de Le Otto montagne è reclamato da tutti. Barbara, la proprietaria del rifugio, che l’ha accolto in cucina a lavorare tanti anni fa, quando Cognetti si ritirò da Milano nella sua baita alpina, e lo Strega era ancora un amaro dolciastro giallo paglierino, se lo abbraccia e se lo coccola come fosse un figlio. Un gruppo di ragazzi e ragazze bergamasche, che organizza un festival, pende dalle sue labbra e nella loro tavolata gli lasciano un ampio spazio immaginario tra le sedie per averlo sempre un attimo in più tra loro a scambiare quattro chiacchiere. Irrequieto, pensieroso, lo sguardo che spesso attraversa le finestre del rifugio come fossero invisibili, Cognetti per una volta ha dismesso i panni del romanziere (anche se il nuovo libro è già pronto per ottobre 2021) e si è dedicato a scrivere una prefazione ad una graphic novel francese. Un gioiello editoriale di rara bellezza.

Quel Parete Nord di Jean Marc Rochette, librone edito da L’Ippocampo. Fenomenale, doloroso, inquieto racconto autobiografico di formazione anni settanta ottanta, grondante picchi rocciosi degli Ecrins – Rochette è di Grenoble -, scalate alpinistiche tra coppie di ragazzi tardo adolescenti o appena adulti, profondi crepacci di morte, panoramiche a 360 gradi sul senso della vita, e quella parete irraggiungibile sfida e sogno della scalata impossibile. “La mia Parete Nord è il Mont Nery”, ci racconta Cognetti girandosi verso Sud e osservando una cima che si intravede a malapena. “Ora il cielo è coperto, e succede abbastanza spesso, ma è la montagna che vedo da casa ogni giorno quando mi sveglio. 3070 metri d’altitudine con piccolo ghiacciaio in cima e la neve che si scioglie del tutto a fine agosto. È una montagna lunga, non tanto difficile, ma bisogna camminare parecchio per arrivarci. Si scende e si risale per più di 1500 metri di dislivello. Sono arrivato in cima un paio di volte e lassù trovi la classica cassettina di vetta dove la gente lascia i messaggi. Ho visto che ci passano dieci persone ogni estate. In giornata è difficile completare il percorso. Bisogna bivaccare a metà. Magari mi porto un sacco a pelo o dormo dentro un rudere. Di solito faccio così”.

Tante le similitudini tra Le Otto Montagne e Parete Nord a partire dal rapporto di fratellanza tra scalatori/camminatori…
“Non ho mai fatto alpinismo al livello di Rochette. Ho iniziato da ragazzino con una guida alpina, ho arrampicato, sono stato su dei ghiacciai, ma non sono mai partito con amici all’avventura come faceva lui”.

C’è sempre una coppia di uomini che scala una montagna…
“È un rapporto di amore che diventa odio, invidia, competitività, ma anche cordata affiatatissima. L’amicizia maschile non è tanto raccontata dalla letteratura contemporanea, eppure era un tema che faceva parte dei classici. Pensate all’Iliade o ai nostri racconti della seconda guerra mondiale di Mario Rigoni Stern o Beppe Fenoglio. Invece nella letteratura contemporanea è un po’ scomparsa. Troviamo sempre l’amore, la famiglia, questa ossessione della famiglia, ed io non ne posso più. L’amicizia è un po’ scomparsa, allora mi piace che i racconti di montagna la recuperino”.

In Parete Nord con il protagonista là appeso penzoloni sulle rocce si prova molta paura…
“Altrimenti non darebbe quel piacere. La montagna te la conquisti con la fatica. Quando dico che sono contrario ai mezzi di risalita mi fanno sembrare un’integralista ambientalista. In realtà penso che se sali in cima con la macchina vedi sì un bel panorama, ti bevi birra e torni giù, ma la montagna chiede un biglietto d’ingresso che è la fatica nel mio caso. Il pericolo, nel caso degli alpinisti che poi ti ripaga con il suo spettacolo, l’emozione, l’intensità che provi quando sei lassù”.

Il lockdown dovuto al Covid lo hai però passato a Milano…
“Soprattutto a Milano. E Lucky è stata la mia ancora di salvezza. Non l’ho passato qui perché ho una compagna di cui non scrivo spesso, rimane nell’ambito cose private, e ho pensato che fosse un momento da passare con lei. Mi chiesi: voglio stare da solo in montagna o da solo con questa donna. Non ho avuto dubbi: voglio stare con lei”.

Come sei riuscito ad inserirti in un tessuto spesso chiuso come quello dei paesi di montagna?
“Se arrivi da solo non è così. Ti vedono fragile. Io ero da solo nella baita e si saranno chiesti che vita sta facendo? In realtà ho incontrato persone aperte, curiose; poi ho trovato altri due solitari, i miei due grandi amici che abitano qui: Remigio e Gabriele. Si erano causalmente separati dalle rispettive mogli. Tra tre uomini soli e un po’ ammaccati ci siamo trovati subito. Poi ancora ti integri lavorando. Quando a un certo punto sono rimasto senza soldi ho iniziato a lavorare come aiuto cuoco nel rifugio dove mangiamo oggi. Il lavoro è l’accesso all’integrazione”.

A Remigio ricordo che dedicasti il tuo Premio Strega nel 2017.
“È un grande amico. Feci quel gesto con la mano per lui. Era una “m” di montagna, ma potevano essere anche due cime”.

Quando hai sfogliato Parete Nord qual è la vignetta, il quadro che ti ha colpito e ti ha fatto decidere di tradurlo e presentarlo?
“Le grandi pagine di montagna dove la storia è sospesa e si aprono vedute e paesaggi. In Rochette vedi lo sguardo di uno che la montagna l’ha guardata tantissimo e uno a cui la montagna trasmette, parla, comunica emozioni. Quelle immagini sono piene di tensioni che non conosci semplicemente se sei un bravo pittore, vieni qui e le disegni”.

(il rumore di un elicottero che vola a bassa quota interrompe la nostra conversazione)
“Stanno rifacendo la baita de Le otto montagne a 2300 metri per il film tratto dal libro che stanno girando in paese a Brusson per la regia di Felix Van Groeningen. Risistemano un rudere e il muratore porta su il materiale. Il muratore è lo stesso che costruì quella originale che descrivo nel mio romanzo”.

Luca Marinelli e Alessandro Borghi interpretano Pietro e Bruno del tuo libro…
“Forse solo Bud Spencer e Terence Hill sarebbero stati meglio. Li ho amati molto in Non essere cattivo, hanno già un’amicizia profonda tra loro a livello privato che è fondamentale per il film. Ne Le otto montagne c’è una parte difficile da riprodurre che è quella dell’intimità fisica nell’amicizia maschile. Forse per questo nell’alpinismo è così forte. I due compagni sono legati, si toccano, dormono insieme in parete, bivaccano. Per molti di noi è un po’ imbarazzante all’inizio, toccarsi abbracciarsi, aiutarsi, ma i miei Pietro e Bruno sono cresciuti insieme e non hanno provato imbarazzo quando si sono ritrovati dopo anni a toccarsi, abbracciarsi, magari fare a botte, tuffarsi in un lago. Questa roba qui Luca e Alessandro ce l’hanno già e sarà il punto chiave del film”.

I montanari hanno un rapporto strano con gli animali che fanno comunque parte della natura circostante.
“Non è vero, c’è empatia. Chi ha mucche ha un rapporto fortissimo con loro. A Gabriele che vive qui da solo in baita senza tv una volta ho chiesto: Ma cosa fai la sera? Guardo video di Youtube sulle mucche svizzere. Gli animali selvatici come i camosci, i cervi, qui vengono come ignorati. Poi ci sono i cacciatori e molti di loro dicono di avere la passione per gli animali, come la chiamano loro. È un cortocircuito che mi dà fastidio, che non riesco a capire ma lo accetto. Alcuni aspetti della montagna li ho finiti per accettare e basta. Non ho più voglia di litigare con le persone, l’ho già fatto, per esempio, mi sono opposto alla costruzione di un nuovo impianto di risalita. Qui tutti lo vogliono, perché per loro il cemento significa posti di lavoro. Ci ho litigato, ma adesso sono stanco, alcune cose dei montanari non le condivido e sono fermo in questa opinione però dobbiamo vivere insieme e quindi cerchiamo di parlare delle cose che ci accomunano”.

Come ti schieri nella battaglia No-Tav?
“Fatico a schierarmi su cose che non vivo direttamente. E per capire ti faccio un esempio. Ci vuol poco a firmare una petizione per una valle dall’altra parte delle Alpi dove stanno cercando di fermare, che so, un oleodotto. Però io abito qui e mettere una firma è troppo facile. Capisco Erri De Luca, invece che lui in Val di Susa è andato, tornato, ha manifestato. Ora quella valle è anche un po’ sua. Io ci sono passato un paio di volte, mi hanno chiesto la firma e all’inizio glielo data, poi ho detto che mi sembra più serio spendersi per le cose in cui ci sei veramente”.

Ad ottobre 2021 esce il tuo nuovo, attesissimo, romanzo.
È un romanzo strano, nato dopo un periodo difficile. Le otto montagne era un macigno che avevo sulla schiena. Per me è stato provvidenziale il lockdown. Chiuso in casa, distante dalla montagna, ho ricominciato a scrivere e improvvisamente sono stato percorso da una vena di leggerezza inaspettata. È venuto fuori un romanzo molto meno grave de Le otto montagne. Ho scoperto un’ironia che non pensavo di avere. Chi l’ha letto mi ha detto che si respira un’aria pulita”.

Il protagonista del libro fa quello che hai fatto tu in valle: l’aiuto cuoco.
Fausto è uno scrittore, quasi un ex scrittore perché non scrive più da un po’ anche se fa i soliti mestieri degli scrittori (insegna, collabora, ecc…) e un libro non lo pubblica più da anni. Si è lasciato con la moglie, per motivi che si capiscono solo in parte, ma uno di questi è la distanza dalla montagna, quindi è solo, un po’ ammaccato. Viene a stare qua in un posto così, non per forza questo, e cerca di rimettersi in sesto. È una situazione molto carveriana. Mi piacciono questi personaggi di Carver che cercano di rimettere insieme i cocci. Poi finisce a fare il cuoco al rifugio Pranzo di Babette e da lì parte tutto: c’è una cameriera giovane di cui si innamora, un montanaro con cui fa amicizia. Entra in questo mondo e ci rimane”.

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