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Riccardo Muti: “Sono stanco della vita, preferisco togliermi di mezzo”

Il direttore d'orchestra, che compirà 80 il prossimo 28 luglio, si dice "stanco della vita" e fa una lucida e serrata critica alla società di oggi. Non fa nomi, ma non le manda a dire

di F. Q.

“È un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: ‘Tutto declina’”. È un Riccardo Muti deluso e rassegnato quello che si racconta in un’intervista al Corriere della Sera. Il direttore d’orchestra, che compirà 80 il prossimo 28 luglio, si dice “stanco della vita” e fa una lucida e serrata critica alla società di oggi. Non fa nomi, ma non le manda a dire.

“Ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta dove aveva studiato Salvemini, con professori non severi; severissimi. Ricordo un’interrogazione di latino alle medie – racconta Muti -. L’insegnante mi chiese: “Pluit aqua”; che caso è aqua? Anziché ablativo, risposi: nominativo. Mi afferrò per le orecchie e mi scosse come la corda di una campana. Grazie a quel professore, non ho più sbagliato una citazione in latino. Oggi lo arresterebbero“.

“Sovente i giovani arrivano a dirigere senza studi lunghi e seri – prosegue il Maestro -. Affrontano opere monumentali all’inizio dell’attività, basandosi sull’efficienza del gesto, talora della gesticolazione. Oggi molti direttori d’orchestra usano il podio per gesticolazioni eccessive – prosegue -, da show, cercando di colpire un pubblico più incline a ciò che vede e meno a ciò che sente. Non voglio polemiche personali: farei il gioco dei promotori di se stessi”.

“Sono il direttore che ha fatto più produzioni, nove dagli anni 70, insieme con Ronconi, che certo non era un reazionario, soprattutto a quell’epoca – prosegue Riccardo Muti – Sono ancora sotto l’influenza di Strehler, che non soltanto conosceva la musica ed era in grado di leggere una partitura, ma perseguiva il Bello: non come fatto estetico, come necessità della vera arte. Le mie produzioni con Strehler —Le Nozze di Figaro, il Don Giovanni, il Falstaff— mi hanno accompagnato e mi accompagneranno per tutta la vita e mi hanno insegnato molto. Ecco perché talvolta, forse esagerando, dico che sono stanco della vita. Penso di non appartenere più a un mondo che sta capovolgendo del tutto quei principi di cultura, di etica nell’arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato”.

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