“Quello della nazionale è un disastro comunicativo, ma non mi stupisce: in un Paese in cui persino i politici comunicano in modo mediocre, non possono essere certo i calciatori a dare l’esempio”. Giovanna Cosenza, ordinaria di Filosofia e Teoria del linguaggio all’Università di Bologna e blogger de ilfattoquotidiano.it, allieva di Umberto Eco e tra i massimi esperti italiani di comunicazione, dice la sua sul dibattito “politico” che da giorni ruota intorno agli azzurri del pallone. Devono inginocchiarsi in campo in solidarietà al movimento antirazzista, o è un gesto che va lasciato alla coscienza dei singoli? Come che sia, la studiosa sottolinea un punto: “L’importante è spiegare. Non dichiarare nulla, non chiarire il perché delle scelte, fa sì che il pubblico si faccia l’idea che vuole. E magari non è quella che corrisponde alla realtà”.

Cosa intende, professoressa?

Non credo che i giocatori rimasti in piedi prima della gara col Galles siano razzisti. Possono averlo fatto per varie ragioni: perché non si sono coordinati, perché non se lo aspettavano. O magari perché d’istinto temevano una politicizzazione del gesto, che appartiene a un movimento (Black Lives Matter, ndr) identificato anche con istanze di estrema sinistra. Poiché nessuno ha dichiarato nulla, però, il valore attribuito da quasi tutti a quel comportamento è che sei calciatori della nazionale sono razzisti e di destra, gli altri cinque no. Il solito tremendo pasticcio all’italiana.

Come avrebbe dovuto essere gestita la vicenda?

Se fossi stata io la consulente della Figc avrei insistito perché il capitano, Bonucci, rilasciasse subito una dichiarazione in cui spiegare, nel modo più lineare possibile, perché alcuni si sono inginocchiati e altri no. E soprattutto quale sarebbe stata la prassi della squadra da quel momento in poi: “Abbiamo scelto di non farlo per evitare strumentalizzazioni”, oppure: “Abbiamo scelto di farlo, ma senza un significato politico”. Se poi volessimo alzare ancora il livello, visto che noi italiani siamo creativi, potremmo anche inventarci un gesto alternativo, tutto nostro.

Ma secondo lei quella mossa è da fare o non è da fare? C’è il rischio che perda ogni elemento di spontaneità.

È certamente da fare. Il suo valore simbolico resta integro anche dopo tutto il parlare di questi giorni, sebbene qualcuno cerchi di negarlo. E ricordiamo che proprio ieri negli Usa è arrivata la condanna (a 22 anni e 6 mesi, ndr) del poliziotto che uccise George Floyd soffocandolo col ginocchio. Fare quel gesto tutti insieme, proprio ora, è fondamentale. Evitarlo per paura di interpretazioni indesiderate sarebbe buttare via il bambino con l’acqua sporca.

E non farlo, invece, che messaggio farebbe passare? Può raffreddare l’affetto del pubblico nei confronti della squadra?

Non credo proprio. Il calcio in Italia è evasione, è anestesia, è scordarsi di tutto il resto. In questo siamo diversi da altri popoli, come gli inglesi, che sentono di più la questione razziale e non separano l’aspetto sportivo da quello politico. Lo dimostrano anche le non-risposte di Bonucci e di Mancini in conferenza stampa: se i calciatori dell’Italia non si inginocchieranno è perché sanno che il messaggio qualunquista, da noi, funziona sempre. L’importante, però, è che stavolta decidano insieme. E, qualunque sia la scelta, si preoccupino di renderla comprensibile.

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