Ma cosa gli sarà saltato in mente all’accentratore di tutti i poteri, De Luca, cambiare nome al Napoli Teatro Festival, dopo 13 anni di rappresentazioni e successi. Diventato sinonimo di Factory di Cultura made in sud, apprezzatisssimo anche all’estero. E di ribattezzarlo Campania dei Festival. Sarebbe come cambiare nome alla storica rassegna “La Milanesiana”, 150 eventi spalmati su tutto il territorio, e chiamarla “La Longobarda o “La Lombardiana”.
Forse, il presidente si sta preparando il terreno per chiamarlo l’anno prossimo, tout court, Il Festival di De Luca. Va bè alle sue megalomanie ci abbiamo fatto il callo, il suo modello è Napoleone, se la democrazia glielo consentisse si sarebbe già fatto incoronare imperatore della Campania Felix. Ma Nap fu vittima dei suoi stessi sogni di grandeur e sappiamo tutti come andò a finire. La Sant’Elena del nostro copywriter a chilometro e a costo zero potrebbe essere solo l’oblio. La sua boutade, una tra le tante, “ Ve faccio ballà Jerusalem in coppa ai balconi…”, riferito a chi non rispettava la chiusura forzata del lockdown, è arrivato fino all’impero del Sol Levante.

Impero? Già, anche lui tratta la Campania come il suo regno. E noi suoi sudditi muti. Ho apprezzato la lettera aperta del collega Vladimiro Bottone “Campania dei Festival: La trasparenza nascosta dal sito”.
E del cambio di location, ne vogliamo parlare?
Sarebbe un po’ come togliere il fulcro di una rassegna a Castello Sforzesco e spostarlo a Fondazione Prada ( per carità, luogo bellissimo, ricavato da una vecchia distilleria di birra, ma completamente decentrato).
Invece quest’anno, Carramba che Sorpresa, il Museo con il Real Bosco di Capodimonte diventa la cittadella teatrale a cielo aperto, la maggior parte degli eventi si svolgono lì.

Da far rimpiangere il meraviglioso e centralissimo Palazzo Reale, con tanto di Cortile d’Onore, Cortile delle Carrozze, teatrino di corte, scalinata in marmo di Vanvitelli e giardino altrettanto reale che fino all’anno scorso del Napoli Teatro Festival era l’anima.
Ultima ciliegina sulla torta: fondamentale che gli eventi siano supportati da una agile comunicazione. Della Grande Ouverture io e altri colleghi siamo informati, come Cenerentola, alla mezzanotte del giorno prima. Neanche una conferenza stampa in streaming per annunciare il programma dal 12 giugno all’11 luglio. La mattina provo ad accreditarmi, risposta neghittosa: Purtroppo non ci è possibile rispondere positivamente alla tua richiesta e ne siamo rammaricati. Gli accrediti vengono chiusi improrogabilmente con quattro giorni di anticipo…
Ma come sono stata informata con meno di 24 ore d’anticipo. Mah, insisto: il parco di Capodimonte è grande, mi siedo sul prato, mi arrampico su un albero, mi porto la seggiola da casa … Giustifico la mia petulanza per assistere alla Prima assoluta de “La Morte e la Fanciulla” sul dramma dei desaparecidos ( regia di uno strepitoso Elio De Capitani). Imperdibile.

Intanto continuo a ricevere il programma festivaliero sempre e solo il giorno prima. E ogni volta che provo ad accreditarmi, la risposta in automatico è sempre la stessa. Sospetto che sia un robot, perché l’ultima mi è arrivata alle 3.25 del mattino.
Non posso immaginare tanta dedizione al Teatro Festival, diretto da Ruggero Cappuccio per il quinto anno consecutivo, e “strateghi della comunicazione” che De Luca, mette a lavorare fino a notte fonda.
Per onorare lo slogan: Il Teatro rinasce con te.
Lunga vita al Napoli Teatro Festival, squadra che vince, non cambia nome, se non altro per buona tradizione.
O forse, il Salerno, appena promosso in Serie A, lo facciamo diventare Campania Calcio?

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