Ispezionare ogni anno gli stralli del Morandi era “un impegno economico troppo oneroso” che avrebbe causato “interferenze al traffico troppo impegnative”. Perciò Autostrade evitò del tutto di farlo dal 2010 al 2015, nonostante l’allarme dell’ingegner Carlo Casini (responsabile genovese di Spea, la controllata per le manutenzioni del gruppo Atlantia) che a giugno 2009 aveva scoperto un quadro già critico, “facendo emergere livelli di corrosione e di iniezione (…) anche di livello 4 (su una scala di 5)”. È quanto emerge da un’annotazione della Guardia di Finanza depositata agli atti dell’inchiesta sul disastro, chiusa nei giorni scorsi con la notifica dell’avviso di conclusione indagini a 69 persone più le due società Aspi e Spea. I militari riportano il testo di varie mail trovate nei computer sequestrati agli indagati, da cui traspare la necessità di interventi urgenti da oltre un decennio prima del crollo. E l’inerzia della concessionaria, che dopo aver approvato un piano di ispezioni sui sistemi delle pile 9 (quella crollata), 10 e 11, non lo mise mai in atto per risparmiare poche decine di migliaia di euro.

Le ispezioni “troppo costose” – Il 27 ottobre 2009 Casini scrive a Massimo Meliani (responsabile tecnico del primo tronco autostradale di Aspi) suggerendo “di intensificare le ispezioni sugli stralli, attese le risultanze emerse nelle indagini diagnostiche e prove riflettometriche” del giugno precedente, definite dalla Finanza “particolarmente severe”. “La posizione strategica e l’importanza del viadotto Polcevera – spiega Casini – portano a proporre di eseguire in modo sistematico almeno una volta l’anno l’esperienza di giugno 2009. Già questo lo considero un buon punto di partenza”. Inoltre, aggiunge, “già nel mese di novembre dovrebbero essere programmati a livello esecutivo gli interventi conservativi degli stralli pila 9 e pila 10 e del cassone”. Lo stesso giorno Meliani inoltra la mail ai propri superiori a Roma: “Casini propone di effettuare l’ispezione sugli stralli del Polcevera ogni anno. È ovvio che si tratta di una frequenza elevata”, scrive, sottolineando l’”impegno economico” richiesto: “La campagna di giugno ci è costata circa 16mila euro a consuntivo per entrambi i lati”. E ricordando anche le “interferenze al traffico” che avrebbero rappresentato un altro costo, seppur indiretto, per la società.

Il programma mai attuato – La proposta del dirigente è invece di ridurre la frequenza delle ispezioni allineandola a quella delle già previste prove riflettometriche: un anno gli stralli lato monte, l’anno dopo quelli lato mare. E proprio questa sarà la soluzione indicata nel documento “Polcevera ipotesi 2011-2015”, un pdf che Meliani invia a Roma il 20 settembre 2010, quando Giovanni Castellucci, allora amministratore delegato di Aspi, chiede notizie del Morandi. Il file contiene “un’ipotesi di programmazione delle stesse ispezioni sino all’anno 2015 compreso”, da cui si evince che i controlli lato mare erano previsti nel 2011, 2013 e 2015, quelli lato monte nel 2012 e nel 2014. Tutto rimasto lettera morta: “Le programmate “ispezioni visive” non sono state successivamente effettuate, come accertato dai rilevamenti sulla documentazione acquisita alle indagini”, nota la relazione. Stesso destino per l’ormai celebre piano di rafforzamento (retrofitting) degli stralli delle pile 9 e 10, che Meliani avrebbe voluto realizzare in tempi brevissimi, “il cui iter arrivò fino all’approvazione del progetto esecutivo (nel 2017, ndr), a cui, tuttavia, non venne successivamente dato seguito”.

Piccioni e binocoli – Agli atti dell’indagine condotta dai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno c’è poi una mail ancora più risalente, datata 3 dicembre 2007 (quasi 11 anni prima del crollo). Il titolare della Tecno-El, ditta incaricata di installare i sensori di monitoraggio sul viadotto, scrive a Meliani che uno dei cassoni (la sezione di impalcato poste sotto l’asfalto) “è allagato, una botola di accesso al cassone è rotta e l’interno è frequentato da piccioni”. Come già noto, commenta la Finanza, “l’ultimo accesso del personale preposto è avvenuto nel 2010”, di conseguenza “non è stato più possibile avere conoscenza dello stato di degrado all’interno dei cassoni, che già nel 2007 risultavano allagati”. Ancora, in una chat WhatsApp usata dai dipendenti Spea per il gioco del Fantacalcio, negli istanti dopo il disastro un ingegnere di nome Daniele Facchinei scriveva: ”Io sono stato a Genova 3 anni e le pile non le abbiamo mai viste, in passato da quello che so non hanno mai fatto ispezioni alla parte media (altezza media) della pila… boh… cmq un bel casino”. Sentito dai militari il 2 luglio 2020, Facchinei conferma “di non aver mai sentito, per il periodo di mia permanenza a Genova, l’organizzazione di un’ispezione ravvicinata sulle pile del Polcevera con l’utilizzo di piattaforme rialzate o altro mezzo speciale; la procedura utilizzata era che le ispezioni venivano fatte da terra con i binocoli”.

Le denunce inascoltate – A febbraio 2013 ancora l’ingegner Casini scriveva ai propri superiori in Spea, Maurizio Ceneri e Giampaolo Nebbia, segnalando il ritardo nell’intervenire su tre impalcati valutati nel 2011 col pessimo punteggio di 60 (su una scala fino a 70). Secondo il Manuale delle manutenzioni adottato da Aspi, con quel voto i lavori di messa in sicurezza sarebbero dovuti arrivare entro il termine massimo di due anni. Invece, lamenta l’ingegnere, “ancora ad oggi non è partito nessun intervento di ripristino, cosa che si sarebbe dovuta fare a medio termine della constatazione del nuovo evento (la famosa precompressione esterna)”. I lavori verranno appaltati solo due anni dopo, nel 2015. La mail, annota la Finanza, è “significativa per comprendere la tempistica con la quale venivano affrontati dei degradi particolarmente severi”. Casini continuerà a segnalare i mancati interventi anche ai vertici di Autostrade, tanto che nel 2015 sarà spostato da Genova ad Aosta: “Si parla anche di grado 3 di corrosione — scrive il dirigente in una mail relativa ai cavi degli stralli — ma comunque non ha mai destato, scusate la franchezza e anche i miei limiti di responsabile, interesse alcuno”.

Guarigioni miracolose – Gli investigatori descrivono ancora come, tra le relazioni del 2014 e del 2017 redatte da Spea sulla struttura, “gli stralli a monte, sia della pila 9, sia della pila 10, sembrano subire “guarigioni” addirittura miracolose: sulla pila 9 ci sarebbe un solo cavo con anomalie da corrosione di grado 4 contro i 14 della rilevazione precedente, sulla pila 10 solo 11 contro i 24 della rilevazione precedente”. E dalle relazioni emergono gravi carenze anche nei controlli sulla sicurezza delle gallerie: “Ci sono cose – dice ai magistrati il tecnico Spea Maurizio Massardo – che non era possibile neanche ipotizzare di richiedere, ad esempio, la rimozione di onduline e reti elettrosaldate, in quanto tale intervento avrebbe richiesto una chiusura totale della galleria per più giorni. Attualmente, invece, Autostrade consente la chiusura totale a prescindere dalle esigenze di traffico. Fino al 31.12.2019 era impensabile chiedere queste chiusure totali e poter svolgere indagini così approfondite”.

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