Si è presentato a giornalisti, militari, politici, avvocati e a tutte le persone in qualche modo collegate all’affare Giulio Regeni con il nome di Mohamed Khalifa. Dottorando in Italianistica, come risulta anche da una rapida ricerca su Internet, all’Università La Sapienza di Roma e soprattutto uomo dell’emittente panaraba al-Jazeera in Italia al quale è stato affidato il compito di costruire contatti, raccogliere informazioni, documenti, testimonianze e organizzare interviste per un documentario sul sequestro, le torture e l’uccisione del ricercatore italiano in Egitto. Mohamed Khalifa è probabilmente tutto questo. Ma è anche e soprattutto Mohamed Refaat (anche se sulla veridicità del suo nome non è stato possibile svolgere alcuna verifica), l’uomo che ha realizzato le interviste per la realizzazione del sedicente documentario per screditare Giulio Regeni e diffuso pochi giorni fa da un canale YouTube anonimo: “The story of Regeni”.

Refaat (nella foto interna, ndr) racconta di avere 33 anni, di vivere da molti anni in Italia, dove porta avanti i suoi studi, e di lavorare come fixer per le più importanti testate arabe, come al-Jazeera e al-Arabiya. Ilfattoquotidiano.it è stato contattato, come altri colleghi che lavorano per altre testate italiane, dallo stesso Refaat a dicembre 2020 e ha potuto verificare direttamente l’effettiva collaborazione tra lui e importanti volti della tv qatariota, grazie anche a riunioni congiunte svolte su Zoom insieme al volto dell’emittente Gamal Almoliky. Ciò che il 33enne non ha raccontato ai suoi interlocutori, e probabilmente nemmeno ad al-Jazeera, notoriamente su posizioni avverse al regime egiziano, con alcuni suoi giornalisti incarcerati o costretti alla fuga dalla repressione di Abdel Fattah al-Sisi in Egitto, è che parallelamente a questa sua attività legittima ne svolgeva anche un’altra: quella per dar vita al documentario diffamatorio nei confronti di Giulio Regeni. Questo nonostante abbia anche confidato in privato ad alcune delle persone approcciate durante questi mesi di ricerca di essere interessato “ai rapporti tra Italia ed Egitto più che alla vicenda Regeni. Anche io voglio poter tornare in sicurezza nel mio Paese”.

Nella sua opera si intrecciano teorie cospirazioniste, sostenute con l’uso di informazioni distorte e con le quali si induce lo spettatore a pensare che il ricercatore italiano fosse una pedina dei servizi segreti britannici arrivata nel Paese per destabilizzare il regime, incitando i sindacati degli ambulanti del Cairo alla protesta dietro lauti compensi. Gli stessi che prometteva ai giornalisti italiani contattati in cambio di documenti riservati, interviste con esponenti politici e avvocati e la disponibilità degli stessi colleghi a rispondere alle sue domande di fronte alle telecamere della tv panaraba.

Chi siano, se ci sono, i committenti del sedicente documentario non è ancora stato chiarito. Il fatto che tra i primi a sponsorizzare l’opera sia stato un funzionario del ministero dello Sviluppo Economico del Cairo, Mohamed Hendawy, e che tra gli intervistati figuri anche il capo degli ambulanti, Mohamed Abdallah, uomo per sua stessa ammissione al servizio della National Security egiziana, fa pensare che dietro possa esserci la regia del regime egiziano.

Tra le persone intervistate per la realizzazione del documentario figurano, come noto, anche l’ex ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, e il generale Leonardo Tricarico. Tutti e tre hanno preso le distanze dal messaggio lanciato, a loro insaputa, dal documentario e sono proprio loro che hanno confermato a Ilfattoquotidiano.it che, dietro alla telecamera, l’uomo che ha posto loro le domande era Mohamed Refaat.

Dopo la pubblicazione del documentario che infanga la memoria di Giulio Regeni, il 33enne ha eliminato ogni sua foto dal proprio profilo Facebook. Contattato da Ilfattoquotidiano.it, non ha più risposto.

Twitter: @GianniRosini

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