Il dibattito sulla nascita della European Super League di calcio non è nuovo a chi mastica di dinamiche sportive, della sua politica e delle sue ragioni economiche. Qualcosa di simile nei fatti è già avvenuto nel 2000, quando invece del temuto Millennium Bug nacque la moderna Euroleague Basketball che prese, di fatto e di forza, il comando della principale competizione per club a livello continentale. Successe in un momento molto particolare, proprio quando la federazione internazionale (FIBA) stava per varare un nuovo modello di competizione: la SuproLeague, definita la realizzazione di un sogno dall’allora segretario generale Boris Stankovic e invece avvertita come un incubo dai maggiori club europei, che misero in piedi in pochi mesi un nuovo modello di competizione iniziando una battaglia tutt’ora in corso con le massime istituzioni sportive.

Lo scisma e la partnership con Mediapro – Un’Eurolega che oggi è molto diversa da quello che era alla sua nascita: alla prima edizione presero parte 24 squadre suddivise in 6 gironi, le italiane erano 4 (Virtus e Fortitudo Bologna, Treviso e Verona) e rappresentavano il meglio di quanto aveva espresso il campionato. Nell’edizione attuale le squadre sono 18, si gioca a girone unico e a rappresentare l’Italia è rimasta l’Olimpia Milano, in una competizione che ha visto negli anni non solo moltissimi cambiamenti di format ma anche nelle modalità di accesso: dalla qualificazione in base alla classifica del campionato a un sistema di ranking che garantiva un accesso pluriennale fino a ciò che l’Eurolega è oggi, con licenze decennali. Se nel caso della European Super League del calcio si è già esposta JP Morgan come finanziatrice, l’Eurolega nel 2000 aveva Telefonica, che garantiva allora 35 milioni annui per cinque anni da distribuire ai club con il doppio ruolo di “banca” e quello più attivo nella commercializzazione dei diritti media. Di produzione e distribuzione del prodotto si occupava invece Mediapro (nome oggi molto noto agli appassionati di calcio): i tre soggetti – Euroleague Basketball, Telefonica e Mediapro – fondarono Euroleague Marketing con lo scopo di unirsi nella gestione di questo cruciale comparto.

La gestione in house degli asset commerciali – L’esperimento dura tre anni, ovvero fino al momento in cui esce di scena Mediapro venendo sostituita dal Grupo Prisa, pioniera dell’industria della tv digitale e satellitare in Spagna. Una partnership che dura due stagioni (fino alla 2004/05) e subito dopo si assiste a una prima vera svolta: Euroleague Basketball decide di gestire internamente i propri asset commerciali a partire dai diritti televisivi, agendo così in prima persona nello sviluppo del proprio piano industriale. Tutto questo, come detto, di pari passo a un adeguamento dei format alla ricerca di un equilibrio soprattutto finanziario, provando a garantire il maggior numero possibile di partite sia alle tv che ai club, dando loro modo di contare su maggiori incassi al botteghino e un prodotto molto più appetibile per gli sponsor. Si è cercato di introdurre meccanismi di partecipazione pluriennale per dare anche ai club la possibilità di programmare gli investimenti, non solo sul campo: prima attraverso un sistema di ranking che andava a premiare la continuità di risultati a livello nazionale garantendo una licenza di tipo triennale (o annuale in caso di “semplice” qualificazione al termine di una singola stagione), poi arrivando al secondo grande scontro con FIBA e le federazioni nazionali nel 2014, quando cambia – di nuovo – tutto.

La nuova guerra con la Fiba – Dopo lo “scisma” del 2000, infatti, dall’anno i rapporti tra Euroleague Basketball e FIBA si erano normalizzati attraverso un accordo che dalla stagione 2001/02 aveva permesso di unificare nuovamente un’unica competizione a incoronare il campione d’Europa (alla SuproLeague avevano preso parte alcuni colossi come Panathinaikos, Maccabi Tel Aviv e CSKA Mosca, quindi rientrati) e così si è andati avanti fino al 2014 quando accadono diverse cose. Patrick Baumann, segretario generale FIBA dal 2002 alla data della sua morte avvenuta il 14 ottobre 2018, ha un piano: “riprendersi” il basket di alto livello in Europa e non solo. La prima mossa è l’introduzione del nuovo calendario dell’attività delle Nazionali che andava a inserirsi con due finestre all’interno della stagione sportiva e non più solo in estate. Principio, questo, rispedito al mittente da Euroleague: “Se la NBA non manda i suoi giocatori, nemmeno i nostri ci saranno”. Tutto ciò non è avvenuto attraverso scambi di composti convenevoli, anzi, in più di una occasione c’è stata contemporaneità di gare delle Nazionali e di Euroleague.

Lo scontro del 2015 e la pioggia di soldi di IMG – Poi arrivano i momenti più critici: nel 2015 Euroleague Basketball assegna licenze decennali a 11 club (Anadolu Efes Istanbul, Baskonia Vitoria, CSKA Mosca, Barcellona, Fenerbahçe Istanbul, Maccabi Tel Aviv, Olimpia Milano, Olympiacos Pireo, Panathinaikos Atene, Real Madrid e Žalgiris Kaunas); il 3 novembre 2015 la FIBA annuncia la nascita dal 2016 di una nuova competizione denominata Basketball Champions League, che punta direttamente a disinnescare Euroleague Basketball offrendo a 8 “big” la partecipazione pluriennale in una lega semichiusa a 16 squadre formando una newco che avrebbe avuto al proprio interno FIBA, FIBA Europe, altri investitori e gli stessi club, prospettando una distribuzione di 30 milioni di euro l’anno tra i partecipanti. La proposta viene rimbalzata e i club (anche qui, come nel calcio, sotto il nome di ECA, che sta per Euroleague Commercial Assets) firmano invece una partnership decennale con IMG – leader mondiale nel marketing sportivo e non solo – che mette sul piatto un investimento complessivo di oltre 800 milioni per creare un nuovo modello di competizione (e di business), formando l’apposita società Euroleague Ventures. Le reazioni sono del tutto simili a quanto si è letto in queste ore relativamente alla Super League calcistica, ma c’è dell’altro.

L’Eurocup e la politica sportiva per sabotare Euroleague – Euroleague Basketball organizza anche una seconda competizione – Eurocup – che è di fatto il secondo livello più alto in Europa. Fallito l’aggancio alle superbig, FIBA ci prova con le altre e in alcuni casi riscuote successo immediato, in altri c’entra molto la politica sportiva. L’Italia avrebbe avuto tre partecipanti nel 2015 con licenza triennale a Eurocup (Reggio Emilia, Sassari, Trento) ma su forti pressioni soprattutto federali e con minacce reiterate di esclusione dei club dalle competizioni nazionali e dei giocatori dalle Nazionali ottiene la rinuncia delle tre società. Solo Sassari, però, vira sulla neonata Basketball Champions League, le altre si ripresenteranno in Eurocup dal 2016. Tra le parole più pesanti ci furono senza dubbio quelle del presidente del Coni, Giovanni Malagò, che arrivò a ipotizzare che in caso di adesione al progetto di Euroleague, l’Italia avrebbe perso la possibilità di ottenere i Giochi Olimpici di Roma del 2024, una partita naufragata per tutt’altri motivi. Gianni Petrucci, presidente Fip, paventò la possibile perdita dell’organizzazione del Torneo Preolimpico di basket (disputatosi poi a Torino, con l’Italia battuta dalla Croazia nella gara che assegnava il pass ai Giochi). Questo perché Baumann, oltre al suo ruolo in FIBA, era anche membro del Comitato olimpico internazionale.

Comunicazione, marketing, impianti ed eventi – Nonostante i contrasti “filosofici” sul merito sportivo (sebbene la stessa Basketball Champions League offra licenze pluriennali per lasciare la concorrenza) e la tradizionale cultura europea da preservare, e quelli legali (arrivati fino alla Commissione Europea), l’Eurolega ha di fatto imposto un nuovo modello: meno squadre, più partite. Più partite con maggiori incassi. Lo stesso presidente della Federbasket Petrucci ha affermato nel pomeriggio di lunedì che Milano riempie sempre il Mediolanum Forum di Assago per le gare di Eurolega così come su moltissimi campi si andava regolarmente oltre i 10.000 spettatori in epoca pre-Covid. Innegabile anche il fatto che gli investimenti delle squadre di Euroleague hanno portato altri a investire per essere competitor nazionali e non solo (Virtus Bologna e la Reyer Venezia capace di vincere due scudetti sono ottimi esempi). Sicuramente qualche criticità per quanto riguarda la questione “competizione chiusa”, ma anche lì si è arrivati per gradi e non senza avvertimenti. Per molti anni, infatti, Euroleague Basketball ha spinto i club e le leghe verso una maggiore professionalizzazione nella gestione delle società, della comunicazione, del marketing, degli impianti e degli eventi, con regole sempre più stringenti sulle capienze minime e i servizi da offrire, con il risultato tangibile che Euroleague Basketball è oggi la seconda più importante e attrattiva competizione per club dopo la NBA, giocata in arene ultramoderne e con un vero progetto di sviluppo. Treni, questi, che in Italia si è lasciati passare anno dopo anno in modo anche plateale: la rinuncia alla Final Four del 2011 a Torino, partecipazioni vissute come fastidio o “gita enogastromica” ebbe a dire l’allora proprietario della Virtus Bologna, Claudio Sabatini. Gli altri Paesi andavano avanti sul piano degli investimenti in strutture e logistica, le italiane rimanevano indietro.

Non è tutto oro quel che luccica – Il modello resta discutibile e discusso, non soltanto perché è oggettivamente molto più difficile far parte della vera élite europea a livello sportivo: nei giorni scorsi si è tenuta una riunione “segreta” tra sette degli stakeholders di ECA (Olimpia Milano, Olympiacos, Panathinaikos, CSKA, Maccab, Anadolu Efes e Zalgiris) dove, stando alle indiscrezioni, si è discusso soprattutto di temi economici e di un supporto insufficiente da Euroleague Basketball per contrastare le perdite dovute alla pandemia. Club che investono molto per i canoni del basket europeo – vari ordini di grandezza, orientativamente tra i 10 e i 40 milioni di euro a stagione – e che in questa annata avranno ricavi che da soli non bastano certo a rientrare. All’inizio di questa stagione, proprio in ragione del Covid che ha causato perdite enormi (a partire dalla mancata conclusione della scorsa stagione) si è deciso di modificare la divisione dei revenues: dal 54% al 79% via market pool per tutte le partecipanti, dal 46% al 21% legati ai risultati sportivi per le prime 14 classificate su 18. Si fa da 1,5 milioni di euro per il Barcellona a 150mila euro per i francesi del Villeurbanne che riceveranno anche una licenza pluriennale insieme al Bayern Monaco, lo stesso club tiratosi fuori dalla Super League del calcio. Il tema della modernizzazione dello sport-business riguarda molto anche la tipologia di offerta al pubblico. Al popolo degli highlights, di Twitch e degli eSports (in crescita esponenziale) guardare una partita intera interessa sempre meno. Diversificare la proposta nel format e nei contenuti è la chiave per raggiungere un pubblico giovane che si allontana sempre di più non sol dallo sport “di una volta”, ma dall’idea stessa di essere solo spettatore passivo di un evento sportivo. Per andare lì servono idee, brand, campioni e soldi. Sembrano averlo capito anche le big del calcio, piaccia o meno.

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