Il 9 aprile Mohammed Hassan Jawad, noto anche come Mohammed Jawaz Parveed, uno dei più importanti difensori dei diritti umani del Bahrein, è uscito dalla prigione di Jaw, dove stava scontando una condanna a 15 anni di carcere per aver preso parte alle manifestazioni pacifiche della rivolta del febbraio 2011. Nell’imponente complesso penitenziario dello stato-isola del Golfo restano altri 11 esponenti della società civile insieme a centinaia di altri detenuti ammassati fino a 10 in celle di tre metri per quattro metri e mezzo.

Un anno fa, per evitare il contagio da Covid-19, le autorità avevano ordinato la scarcerazione di 1500 detenuti. Non è bastato evidentemente: il 23 marzo, a Jaw il coronavirus ci è entrato di gran carriera. I parenti dei detenuti hanno riferito ad Amnesty International che i casi sono ormai una settantina.

Non c’è un monitoraggio costante, non vengono forniti dispositivi di protezione come mascherine o disinfettanti (chi ha soldi può andare a comprarli allo spaccio interno, noto come “la cantina”), le comunicazioni con l’esterno vengono limitate.

Dal governo, una nota del 28 marzo secondo la quale i prigionieri risultati positivi erano stati isolati e l’annuncio fatto l’8 aprile che 73 detenuti sarebbero stati scarcerati e affidati a misure alternative.

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