Il 14 febbraio 2011, ispirati dalle rivolte della Tunisia e dell’Egitto, decine di migliaia di cittadine e cittadine del Bahrein si diedero appuntamento alla Rotonda della Perla, nel quartiere degli affari della capitale Manama.

Come in piazza Tahrir al Cairo e, l’anno prima, in molte piazze europee, i manifestanti montarono le tende e rimasero in protesta per alcune settimane con le richieste globali dei movimenti del 2010-11: giustizia, fine della corruzione e delle disuguaglianze, libertà, sviluppo, democrazia, dignità.

Le autorità del Bahrein chiamarono in soccorso il Consiglio di cooperazione del Golfo. L’Arabia Saudita non ci pensò un attimo e invase il piccolo stato-isola alleato. Di questo sanguinoso intervento e della repressione che seguì non si è mai quasi mai parlato: Stati Uniti e Regno Unito hanno imposto il silenzio.

Dopo aver distrutto le tende, i bulldozer eliminarono simbolicamente anche la pavimentazione della Rotonda della Perla, per rifarla da capo. Non doveva rimanere alcun ricordo della protesta, neanche simbolico.

I manifestanti uccisi furono almeno 19, cinque dei quali a seguito delle torture. Vennero arrestate migliaia di persone, compresi i leader delle proteste e i dirigenti delle organizzazioni per i diritti umani, come Abdulhadi al-Khawaja, che sta scontando una condanna all’ergastolo, o Nabil Rajab, che in questi anni è entrato in prigione e ne è uscito diverse volte.

Se qualcosa è cambiato in questi 10 anni, è cambiato in peggio: i partiti di opposizione sono stati messi fuorilegge, l’unico quotidiano indipendente è stato chiuso e sono state emanate ulteriori leggi per limitare lo spazio di partecipazione politica. Soprattutto a partire dal 2016 gli attivisti politici, i difensori dei diritti umani, gli avvocati, i giornalisti, i leader religiosi sciiti subiscono intimidazioni, convocazioni per interrogatori, divieti di espatrio.

La diaspora bahreinita continua a rilanciare le denunce dei pochi coraggiosi difensori dei diritti umani ancora in libertà. Ma invano. La situazione del Bahrein rimane lontana dai riflettori. Le uniche luci accese sono quelle del semaforo che dà il via al Gran premio di Formula 1 e, in caso di lezioni serali in presenza, quelle delle aule della cattedra che il re Hamad si è intestato all’Università La Sapienza di Roma.

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