Denis Verdini era “l’incontrastato dominus di un istituto strumentalizzato ai fini personali, in assenza di un organo di controllo sindacale realmente autonomo e critico rispetto alle scelte gestorie”. Lo scrive la corte di Cassazione nella sentenza numero 13382: sono le motivazioni della condanna condanna emessa il 3 novembre scorso. L’ex senatore del Pdl e poi fondatore di Ala, il gruppo parlamentare nato per sostenere Matteo Renzi, era stato considerato colpevole in via definitiva per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino. I 6 anni e 10 mesi del secondo grado erano diventati sei anni e mezzo visto che quattro mesi sono andati in fumo a causa della prescrizione: per Verdini si erano aperte le porte del carcere. Poi a fine gennaio avevo ottenuto i domiciliari.

Sul fallimento del Credito fiorentino, la Cassazione scrive che le “anomalie” riscontrate dai giudici di merito ed “esaustivamente motivate”, sono “tanto più significative se rapportate alla natura cooperativa dell’istituto di credito”: l’attività ispettiva di Bankitalia ha stigmatizzato “una gestione spregiudicata, volta a consolidare le relazioni di affari tra la banca e un importante, ma decadente, gruppo industriale”. La banca era stata poi commissariata e posta liquidazione. I processi hanno messo in luce come le erogazioni contestate abbiano avuto per la maggior parte quali destinatarie società riconducibili al gruppo Fusi-Bartolomei, “nonostante – scrive il collegio – la consapevolezza nei vertici della banca dell’inesorabile declino del gruppo”. “L’attività ispettiva della Banca d’Italia – si legge nella sentenza – evidenziava fin dal 2006 le gravi anomalie della governace aziendale, accentrata nella persona di Verdini, incontrastato dominus di un istituto strumentalizzato ai fini personali, in assenza di un organo di controllo sindacale realmente autonomo e critico rispetto alle scelte gestorie”. Nelle distrazioni contestate a Verdini – scrivono i supremi giudici – emergono una serie di costanti, che rendono “del tutto implausibile” ritenere che vi sia stata “mera negligenza nelle concessioni di fidi”, al contrario emerge “una chiara volontà dell’imputato di tenere a galla il gruppo societario, in spregio a ogni regola prudenziale”.

Quanto ai rilievi della difesa, che la bancarotta fraudolenta per distrazione non sarebbe configurabile vista l’assenza di creditori danneggiati, la Cassazione ricorda come questo sia dovuto alla speciale tutela di cui godono gli istituti di credito cooperativo e all’intervento del Fondo di garanzia, che ha tutelato i correntisti. Giusta, per la Cassazione, anche la mancata concessione delle attenuanti generiche in considerazione dell’elevata gravità dei fatti e per la rilevante entità del dolo.

Articolo Precedente

Mafia, 33 arresti a Messina: summit criminali alla sala biliardo. Accuse di scambio elettorale politico-mafioso alle comunali 2018

next
Articolo Successivo

Caso Palamara, il gup: “Il Csm va citato come parte offesa nel procedimento per corruzione”. La competenza resta a Perugia

next