Cinquant’anni fa, l’8 aprile 1971, il primo Congresso mondiale dei rom ha posto le basi per un percorso di autodeterminazione e di unificazione di Rom, Sinti, Manusch, Kalè e Romanichales, i grandi gruppi del popolo romanì, in un percorso di nazione senza Stato. Fu deciso l’inno e la bandiera (blu come il cielo, verde come la terra e una ruota rossa che rappresenta il viaggio dall’India verso l’occidente) e la canzone Djelem Djelem che dice: “Ho camminato, ho camminato, ho incontrato buoni amici… oh Rom, oh giovani, anche io avevo una famiglia, ma la legione nera l’ha sterminata… venite via con noi, Rom di tutto il mondo, le nostre strade si sono aperte, è giunta l’ora di alzarci, spiccare in volo, possiamo se siamo uniti!”.

Il primo Congresso nel ’71 fu deciso quando ancora in alcuni Paesi europei, Svezia, Svizzera e Danimarca, si sterilizzavano le donne rom per debellare il “gene nomade”. Fu deciso nella consapevolezza che era giunta l’ora di ribellarsi a secoli di persecuzioni, di torture e di schiavitù, che dopo un tentativo di genocidio su base razziale non si potrà mai più permettere di tornare indietro, ma anche con la consapevolezza che si stavano ponendo i primi mattoncini di una lotta che dura a lungo e che bisogna lasciare alle prossime generazioni.

Chi siamo oggi noi, eredi di quella lotta e di quei coraggiosi mattoncini? Da cosa sono fatti i nostri mattoncini, che lasceremo ai nostri figli? Come possiamo fare la nostra parte?

Le condizioni delle comunità Rom e Sinti in Italia oggi, a causa dell’esclusione e della discriminazione sono drammatiche. La disoccupazione per quanto riguarda il lavoro formale supera il 50%; circa il 20% vive in povertà assoluta e senza accesso ai servizi primari (acqua, elettricità, rete fognaria), l’aspettativa di vita media dei Rom e dei Sinti in Italia è, come a livello europeo, di 10 anni inferiore alla media nazionale, l’abbandono scolastico nel corso del ciclo primario e secondario di secondo grado supera il 20%. Questa situazione è stata ulteriormente esasperata dalla pandemia e in particolar modo nell’ambito scolastico.

Una ricerca fatta da Swg commissionata dal Movimento Kethane stima che circa 40.000 bambini sono completamente tagliati fuori dal sistema scolastico e che circa 40% dei bambini rom e sinti che frequentavano le scuole non sono mai stati contattati dalla scuola, nemmeno una volta.

Oggi non possiamo permetterci di fare del vittimismo senza capacità di agire. Non possiamo limitarci a una celebrazione poetica della nostra storia e della nostra cultura senza una proposta politica. Oggi noi non possiamo permetterci solo di ricordare la nostra dolorosa storia e le ingiustizie che abbiamo subito. Questo non significa che vogliamo rivestire il duro presente o il tragico passato. Al contrario, significa metterli esattamente al centro della nostra lotta, e affrontarli non da una posizione di debolezza, apatia e disperazione, ma da un luogo di dignità, fiducia e forza con un programma e con una strategia politica ben precisi.

Oggi dobbiamo avere il coraggio di chiedere allo Stato italiano di smettere di ignorare che la sua Costituzione gli impone di riconoscerci lo status di minoranza storico-linguistica, di riconoscere e di rispettare la nostra identità. Dobbiamo anche dire senza imbarazzo che il mancato riconoscimento è segno di inciviltà e della mancanza di democrazia nel nostro Paese e soprattutto è l’arma più utile nelle mani dei seminatori di odio, di chi sfrutta le nostre fragilità per i suoi vantaggi elettorali.

Ma con altrettanta chiarezza dobbiamo dire che, piaccia o no, siamo italiani, parte integrante di questo Paese e del suo destino. Che abbiamo risorse, energie e anche capacità per dare il nostro contributo alla sua ricostruzione dopo la crisi pandemica. Questa ricostruzione sarà all’insegna della sostenibilità globale, dal rapporto con l’ambiente ai modelli di sviluppo economico, fino alle relazioni sociali e all’accesso alle opportunità in modo equo. Questo processo di ripensamento e rilancio non potrà tralasciare le fasce della popolazione in maggiore difficoltà, prevedendo una nuova stagione di sviluppo che non lasci indietro nessuno, in cui disuguaglianze e fragilità vengano superate e la visione di una società aperta, giusta e integrata sia pienamente perseguita e attuata.

Le comunità rom e sinte ci sono, noi vogliamo essere cittadini messi in condizione, come tutti, di partecipare allo sforzo nazionale per uscire dalla crisi e per contribuire al disegno di una società migliore che crei opportunità per tutti, senza distinzioni. E per questo è ora che la nostra minoranza venga riconosciuta, non solo per il rispetto che pure si deve allo spirito costituzionale che vuole un Paese di cittadini senza distinzioni di sesso, religione, etnia, ma anche perché il senso profondo di quella norma costituzionale sta in un’idea di un’inclusione sociale e civile, di partecipazione di tutti, nessuno escluso, allo sforzo comune di una società senza ultimi.

La legge italiana – la 482 del 1999 – ha riconosciuto 12 minoranze linguistiche distribuite sul territorio nazionale. Non crediamo che la nostra, la tredicesima, sia stata esclusa per scaramanzia ma per una scelta politica che dopo 22 anni non ha senso alcuno se non si vuole condannare a un perenne stato di marginalità, di esclusione, migliaia di cittadini italiani. Nella Giornata internazionale del popolo romanì possiamo dire alle istituzioni italiane che è giunta l’ora che questo tema venga messo all’ordine del giorno perché è ora che 180.000 rom e sinti italiani siano messi nei fatti in condizione di esercitare con pari dignità i diritti e i doveri che competono a ogni cittadino.

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