Barbara Corvi era scomparsa da Montecampano di Amelia, in provincia di Terni, il 27 ottobre del 2009. Aveva 35 anni. Dopo 11 anni quella strana sparizione ha avuto uno sviluppo inaspettato: i carabinieri di Terni, su disposizione del procuratore Alberto Liguori, hanno dato esecuzione a un ordine di carcerazione per omicidio a carico del marito della donna, Roberto Lo Giudice con le accuse di concorso in omicidio volontario premeditato, occultamento o soppressione di cadavere.

La donna, sostengono, è stata uccisa anche per motivi economici e il cadavere presumibilmente sciolto nell’acido. Un destino orribile, secondo la Procura di Terni, che ricorda quello, 15 anni prima, della cognata, Angela Costantino, il cui corpo non è mai stato trovato. Dopo la riapertura due anni fa delle indagini, archiviate nel 2015, oggi una possibile svolta con l’arresto del marito, indagato insieme al fratello Maurizio. “Siamo convinti che la matrice dell’omicidio non sia mafiosa ma che nasca dalla mentalità mafiosa”, ha detto il procuratore capo Alberto Liguori. Sottolineando come Lo Giudice – di origine calabrese, figlio di un boss della ‘ndrangheta – pur non appartenendo al clan di riferimento ne abbia condiviso la visione in base alla quale “il tradimento deve essere lavato con il sangue”.

E così, come la cognata Angela (il cui caso si è concluso con due condanne definitive per omicidio), anche Barbara ha pagato con la vita. Ma oltre alla relazione extraconiugale – nota da tempo al marito, anche lui con un rapporto parallelo all’epoca dei fatti – nel movente avrebbe avuto un peso pure il tentativo di Lo Giudice di spogliare la donna dei suoi beni, di fronte alle difficoltà economiche incontrate dalla coppia nella gestione del proprio negozio di ferramenta. “La rilettura delle carte con i contributi di plurimi collaboratori di giustizia, anche del nucleo familiare appartenente dell’indiziato, hanno permesso una ricostruzione che ci sembra coerente, credibile e agile”, ha detto Liguori.

Sono così stati “smontati depistaggi e ricostruzioni” ideati da Lo Giudice per far credere che la moglie si fosse allontanata volontariamente o che avesse intenti suicidari. In un’intercettazione raccolta dagli investigatori – è stato riferito – lo stesso Lo Giudice, in visita a Reggio Calabria pochi giorni dopo il 27 ottobre 2009, ha ammesso a un interlocutore “di essere coinvolto nella vicenda della scomparsa della moglie”. L’omicidio sarebbe avvenuto proprio il 27, mentre la coppia era sola in casa. Quanto al corpo della trentacinquenne, in un’altra intercettazione ambientale un uomo afferma di pensare che “sia stata sciolta nell’acido”, dichiarazione che fa il paio con una confidenza analoga raccolta nel corso delle indagini.

Lo Giudice potrà ribattere alle accuse nell’interrogatorio di garanzia che sarà fissato a breve (a giugno si era avvalso della facoltà di non rispondere davanti al pm). Intanto la famiglia Corvi, attraverso l’avvocato Giulio Vasaturo, pur “consapevole che nessuno potrà restituire Barbara”, si dice “confortata dalla giustizia, percepita più vicina”. Le sorelle Irene e Monica Corvi, il 21 marzo scorso, erano in piazza ad Amelia in occasione della Giornata della Legalità promossa da Libera, durante la quale è stato inserito per la prima volta il nome della Corvi nell’elenco delle vittime innocenti di mafia.

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