Nel nuovo millennio il ruolo dell’acqua è diventato una chiave di volta dei sistemi sociali a tutte le scale geografiche. Se ne rendono perfettamente conto gli abitanti del villaggio che deve resistere all’impoverimento e all’inquinamento delle fonti o al ticket delle multinazionali. Lo stanno sperimentando i paesi coinvolti in conflitti che rischiano di degenerare in vere e proprie guerre dell’acqua, come nel caso della disputa sulla Grand Ethiopian Renaissance Dam sul Nilo Azzurro. E il pianeta che fronteggia i cambiamenti del clima, sa benissimo che la cinghia di trasmissione del sistema climatico è proprio il ciclo dell’acqua.

Ci si accorge dell’importanza del governo dell’acqua soprattutto in due circostanze. Quando non ce n’è abbastanza, scatta l’emergenza siccità. Quando la piena tracima dagli argini dei corsi d’acqua, scatta l’emergenza alluvione. L’Italia è il paese dove l’emergenza si trasforma in maledizione per le popolazioni colpite e in benedizione per chi ha può trarre vantaggio dalle risorse “eccezionali” mobilizzate per far fronte all’imprevisto. Ed è anche il paese che ha sviluppato la cultura dell’emergenza più profonda e sofisticata d’Europa. Purtroppo, saper fronteggiare l’emergenza non basta, il governo dell’acqua richiede capacità di previsione, prevenzione, pianificazione e partecipazione.

Da sempre, il commercio mondiale dell’acqua sotto forma di combustibili, cibo e merci è oggi in grado di surrogare le carenze idriche locali, ma non è una soluzione sufficiente a medio e lungo termine. L’impero romano fondò la sua potenza e sviluppo la propria resilienza sul commercio dell’acqua virtuale. E la crisi di quel sistema fu tra le cause della caduta dell’impero romano di occidente, che sopravvisse a oriente per un millennio anche per la ricchezza dell’approvvigionamento idrico garantito dagli acquedotti di Costantinopoli.

La progressiva carenza di risorse in grado di garantire l’acqua che mangiamo è una questione molto seria. L’Italia è abbastanza virtuosa, soprattutto nelle produzioni Dop, Doc o Docg: una bottiglia di barolo contiene la metà dell’acqua necessaria a produrre una bottiglia di Bordeaux (cfr. The Water Footprint and Environmental Sustainability of Italian DOP, DOC and DOCG Food Products, M.C. Rulli, A. Veroni, R. Rosso, in: The water we eat, a cura di M. Antonelli & F.Greco, Heidelberg: Springer, 2015). La bistecca da un chilo che mettiamo in tavola contiene comunque 15mila litri d’acqua, magari importati dall’Argentina o dalla Polonia. E l’Italia è uno dei più forti importatori netti di acqua virtuale.

Non solo il cibo, ma anche l’energia dipende in modo sostanziale dalla disponibilità idrica. Non solo da parte dell’industria idroelettrica, il cui uso dell’acqua è del tutto reversibile. Ma l’acqua entra in modo prepotente nell’industria termoelettrica, tradizionale o nucleare, e nell’estrazione dei combustibili fossili, dai tradizionali pozzi di petrolio e gas naturale alle moderne tecniche di fracking per l’estrazione dello shale gas, il metano imprigionato a grandi profondità nelle rocce metamorfiche sedimentarie, scisti argillosi o argilliti. E perfino la produzione di un pannello solare richiede un po’ d’acqua, anche se si stima un consumo di poco meno di 100 litri per ogni Megawattora prodotto.

Nel 2006 l’Europa ha sperimentato l’esiziale effetto di retroazione di una prolungata siccità sulla disponibilità di energia elettrica in rete. Non solo la produzione idroelettrica è calata, ma le centrali termoelettriche lungo i fiumi sono state messe a rischio per l’insufficiente quantità delle acque di raffreddamento. E hanno ridotto se non azzerato la produzione. Nel nuovo millennio, episodi analoghi si sono verificati in tutti i continenti, dal Brasile alla California e all’India. E la frequenza di queste situazioni può aumentare nel prossimo futuro.

Nel 2050, per nutrire la popolazione mondiale sarà necessario produrre il 60 percento di cibo in più. Nel contempo, il consumo globale di energia aumenterà del 50 per cento già entro il 2035. E i prelievi globali di acqua irrigua cresceranno del 10 per cento entro il 2050. Nonostante che l’importanza di questa sfida sia stata ormai focalizzata come una questione globale da tutte organizzazioni internazionali, dalle Nazioni Unite al World Economic Forum, il governo dell’energia, dalla produzione all’uso, viene ancora condotto ovunque in modo affatto indipendente dal governo delle acque, tanto in fase di pianificazione quanto in quella di gestione. E viceversa.

Il nesso tra acqua, cibo ed energia accompagnerà la storia dell’umanità per tutto questo secolo. Questa mutua relazione, che lega i tre elementi in una eterna ghirlanda d’amore e odio, rappresenta una delle sfide maggiori della Terra, assieme a quella del riscaldamento globale, i cui effetti climatici complicheranno a loro volta ogni soluzione volta a districare questo nodo. Tutto ciò mentre la produzione e il consumo dell’energia contribuisce a più del 70 per cento delle emissioni antropiche di gas serra.

Poiché ambiente ed energia sono due caposaldi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è auspicabile che questa cesura venga finalmente ricomposta, almeno a livello nazionale ed europeo. Acqua, cibo ed energia vanno governati con saggezza e conoscenza. E, soprattutto, bisogna valutare con attenzione i numerosi, subdoli effetti di retroazione che qualunque iniziativa in campo energetico, agricolo-alimentare e idrico è in grado innescare.

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