Circa un anno fa, all’inizio della pandemia, scrissi una riflessione sul futuro della socialità. Osservando le Social street sparse per l’Italia, notavo una gran vivacità “on line”, vicini di casa che si sostenevano a vicenda, trovavano modi alternativi per stare insieme, per condividere. Concludevo il post dicendo che l’uomo è un animale sociale e che, finita la pandemia, tutto sarebbe tornato come prima inclusa la socialità che è innata nell’uomo. Dopo un anno non sono più tanto d’accordo con me stesso.

Stiamo vivendo grandi trasformazioni, molte forse le stiamo subendo, ma non sono per niente sicuro che finita la pandemia il mondo tornerà dove l’avevamo lasciato. Abbiamo scoperto che possiamo fare a meno dei cinema perché abbiamo le piattaforme streaming. Molte uscite di film sono state rimandate in attesa della riapertura delle sale cinematografiche, salvo poi adeguarsi e lanciare le “prime” direttamente on line.

Mi ero occupato delle “dark kitchens” prima della pandemia, ovvero la nuova tendenza dei “ristoranti virtuali”. Perché aprire un ristorante che ha costi di gestione elevati quando è possibile noleggiare dei container già attrezzati con cucine professionali ed annesso servizio di consegna a domicilio? In questo modo si sostiene solo il costo di noleggio della cucina ed uno o due impiegati, finito. Non esiste più l’esperienza della “sala”, del rito di andare al ristorante. Da un anno a questa parte, l’home delivery è esplosa.

Siamo sicuri che le nostre abitudini verranno ripristinate? Siamo consapevoli che dovremo portare la mascherina per molto tempo ancora. Ormai indossare la mascherina è diventato quasi un gesto automatico, una nuova normalità così come non dare più la mano, la pacca sulla spalla, quel contatto che ci “avvicinava” probabilmente non ci sarà più. Torneremo ad abbracciarci tranquillamente dopo aver subito un lavaggio del cervello sulla “pericolosità” del gesto? Sarà automatico tornare a rifrequentare i luoghi affollati? Non ne sono più sicuro.

Probabilmente anche la socialità così come la ristorazione, i cinema, la musica, le radio, subirà una trasformazione verso una nuova forma. In questi mesi ho parlato con moltissimi teenager e la quasi totalità di loro mi ha detto di essere contento di frequentare la scuola on line piuttosto che in presenza. Loro sono il nostro futuro e, forse, conviene osservarli per capire dove andrà il mondo. Il fenomeno degli hikikomori non è una novità. I ragazzi trascorrevano anche prima della pandemia più tempo nella vita virtuale che in quella reale, la pandemia ha solo amplificato il fenomeno. Dobbiamo capire in che modo questa condizione impatterà sulla socialità del futuro, sulle relazioni.

Ho provato a chiederlo al professor Robert Putnam, docente di Politiche pubbliche all’Università di Harvard, che ho avuto modo di conoscere anni fa quando scoppiò il fenomeno delle Social street. Il suo approccio è più ottimista del mio. “Nei primi mesi della pandemia, proprio come i primi anni dei social network, abbiamo vissuto una cyber euforia. Potevamo fare tutto on line, però, dopo un anno siamo passati al cyber pessimismo perché è chiaro che la Dad funziona per i privilegiati, o che vedere i nonni di persona è meglio che vederli su Zoom.” Sono trascorsi vent’anni da quando Putnam pubblicò Bowling Alone: The Collapse and Revival of American Community in cui analizzava i cambiamenti della società. “È difficile prevedere le conseguenze a lungo termine della pandemia così come lo fu quando scoppiò la peste, ma sono molto scettico che il nostro futuro potrà fare a meno delle relazioni face to face”.

Forse la pandemia gioca solo un piccolo ruolo sulla socialità del futuro, la pensa così uno dei più noti sociologi al mondo, Anthony Giddens. “La socialità è già influenzata da anni dalle nuove tecnologie, dall’Intelligenza Artificiale, per analizzare bene il fenomeno bisognerebbe districare ogni componente ed analizzarla, inclusa la pandemia, non è semplice”. Un po’ come gli acquisti on line, una tendenza in costante aumento che ha avuto un’impennata durante la pandemia. Anni fa, solo determinati acquisti si effettuavano on line, adesso non c’è cosa che non si possa gestire su internet. La pandemia ha funzionato da acceleratore e ha modificato alcune abitudini che probabilmente non verranno ripristinate. La socialità subirà lo stesso processo?

Paradossalmente sono proprio le tecnologie oggi a venirci incontro per ottenere una socialità “reale”. Le app di dating come Tinder hanno fatto registrare un boom di utenti. Con bar, discoteche, luoghi di aggregazione chiusi, la possibilità d’incontro è ridotta ai minimi termini e la tecnologia in questo caso viene in soccorso. Come per le Social street, dal virtuale al reale, lo strumento digitale diventa un modo per tornare lì dove tutto inizia, le relazioni. La pandemia rimescolerà le carte in tutti i settori, anche in quello sociale.

Quello che dobbiamo augurarci è che qualunque siano gli scenari futuri, il mimino comune denominatore sia sempre la parola “ubuntu”, quel legame universale di scambio che unisce l’umanità intera, sia esso virtuale o reale.

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