di Roberto Iannuzzi*

I primi risultati dell’indagine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sull’origine del Covid19, resi noti martedì scorso, sono deludenti, ma era difficile attendersi di meglio. Peter Embarek, leader della squadra di esperti dell’Oms, ritiene improbabile che il coronavirus sia fuoriuscito dai biolaboratori della città cinese di Wuhan, primo focolaio della pandemia. In compenso, la missione Oms analizzerà la possibilità che il Covid19 sia originato dai cibi surgelati.

Gli esperti della missione ritengono probabile che il Sars-Cov-2, il virus responsabile del Covid19, provenga dagli animali, ma non sanno dire come, né hanno individuato ancora la specie di provenienza o un possibile ospite intermedio.

Gli iniziali studi che nel febbraio 2020 indicarono il pangolino come possibile ospite intermedio sarebbero stati screditati e migliaia di campioni animali testati in Cina risultati negativi al virus.

Sebbene alcuni scienziati del team continuino a citare il mercato di animali vivi di Wuhan come possibile origine dell’epidemia, questa ipotesi era stata già scartata dagli stessi esperti cinesi. L’Oms ha impostato l’indagine in Cina come la fase iniziale di una ricerca che avrà portata planetaria, malgrado alcuni studi scientifici dimostrino che i casi iniziali registrati nel mondo sono essenzialmente riconducibili al focolaio cinese di Wuhan, manifestatosi già tra il settembre e l’ottobre 2019, e non nel dicembre 2019 come sostiene l’indagine.

Non ci si interroga invece sulla singolare coincidenza per cui il primo focolaio di Covid19 è emerso proprio in una città che ospita biolaboratori dove venivano effettuati esperimenti sui coronavirus dei pipistrelli. L’affermazione del capo della missione Embarek, secondo cui simili incidenti di laboratorio sono estremamente rari, parrebbe essere semplicemente falsa. Tanto più se si considera che, sebbene l’istituto di Wuhan effettivamente ospiti un laboratorio di massima sicurezza (classificato BSL-4), gran parte della ricerca sui coronavirus dei pipistrelli venne effettuata in laboratori dello stesso complesso che garantivano minor sicurezza (BSL-2, BSL-3).

È noto che la scienziata Shi Zhengli, soprannominata la “donna-pipistrello” (bat woman) della Cina, ha compiuto a Wuhan numerosi studi su coronavirus geneticamente molto simili al Sars-Cov-2. Tali studi includevano esperimenti “gain-of-function” (letteralmente “acquisizione di funzione”) sui coronavirus dei pipistrelli, che consistono nel modificare il genoma dei virus introducendovi proprietà che facilitano il salto di specie, rendendo così possibile che essi infettino l’uomo.

Si tratta di tecniche estremamente controverse, ufficialmente utilizzate per facilitare lo sviluppo dei vaccini, ma che in caso di incidenti possono provocare epidemie letali. In particolare, è emerso che il Sars-Cov-2 è geneticamente simile (al 96%) al RaTG13, un virus presente nei pipistrelli delle miniere dello Yunnan, provincia distante mille chilometri da Wuhan, nel cui laboratorio tale virus è stato trasportato e sequenziato.

È interessante notare come virus simili al Sars-Cov-2 siano invece assenti nella provincia di Hubei, di cui Wuhan è capoluogo. Sebbene una somiglianza genetica del 96% sia ritenuta insufficiente per effettuare una modifica gain-of-function in grado di produrre il Sars-Cov-2 in laboratorio, va rilevato che l’istituto di Wuhan possiederebbe sequenze non pubblicate di coronavirus, fra cui figurerebbero altri otto virus campionati nello Yunnan. Tra essi potrebbe nascondersi il progenitore del Sars-Cov-2.

Peraltro, gli archivi pubblici dell’istituto di Wuhan sono stranamente divenuti inaccessibili nel settembre 2019. Sebbene vi sia un numero crescente di scienziati (tra cui un gruppo molto attivo su Twitter) che ritiene plausibile l’ipotesi di un incidente di laboratorio per spiegare l’origine del Covid19, sembra vi siano interessi molto forti, non solo cinesi, che puntano a scoraggiare un’indagine in questa direzione.

La missione Oms è composta da esperti internazionali che però sono stati concordati con Pechino. Fra i suoi membri spicca il nome di Peter Daszak, portavoce non ufficiale del team e scienziato britannico al centro di un forte conflitto di interessi. Daszak ha sempre liquidato l’ipotesi di un incidente di laboratorio come una “teoria della cospirazione”, tuttavia la Ecohealth Alliance, gruppo statunitense da lui presieduto, ha finanziato ricerche gain-of-function proprio all’istituto di Wuhan.

Simili esperimenti vennero appoggiati nientemeno che dal dottor Anthony Fauci, consulente sanitario del presidente Joe Biden (come anche del predecessore Trump) e responsabile della campagna sanitaria americana contro il Covid19. Una parte consistente dei fondi della Ecohealth Alliance proviene dal Pentagono.

Francis Boyle, professore americano di diritto internazionale e autore del Biological Weapons Anti-Terrorism Act che ufficialmente proibisce lo sviluppo di armi biologiche negli Usa, sostiene che, dopo l’11 settembre 2001 e i cosiddetti attacchi all’antrace che ne seguirono, il Dipartimento della Difesa statunitense promosse programmi di “biodifesa” che comprendono lo studio di pericolosi patogeni, ufficialmente allo scopo di trovare il modo di combatterli.

Tali programmi includono esperimenti gain-of-function e hanno favorito la nascita di biolaboratori in America e altrove nel mondo, dove vengono svolti questi rischiosi esperimenti. Altri paesi, come la Cina, hanno seguito l’esempio statunitense. Se emergesse che la pandemia da Covid19 è frutto di un incidente scaturito da questa pericolosa “competizione”, una seria riflessione sui programmi di biodifesa e sui laboratori dove tali programmi vengono condotti diverrebbe ineludibile.

* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
@riannuzziGPC

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