A Luis Suarez sono bastati pochi mesi per entrare di diritto nella storia dell’Atletico Madrid e del calcio spagnolo. Sedici gol nelle prime diciassette partite di Liga non si vedevano dalla stagione 1997/98, quella che regalò a Bobo Vieri il titolo di Pichichi. L’importanza che il bomber uruguaiano riveste nella formazione di Simeone è ormai all’attenzione di tutti, soprattutto del Barcellona. Il club blaugrana, giusto per dare seguito a una stagione disastrosa dal punto di vista finanziario, sta pagando a carissimo prezzo la decisione di mollarlo ai rivali per soli sei milioni. Tra l’altro in variabili.

In Catalogna le ragioni che hanno portato a un atto sportivamente così sciagurato continuano a essere enorme argomento di discussione. Si è parlato di un Suarez ritenuto in fase calante (34 anni compiuti a gennaio), della necessità di far respirare le casse della società (il contratto in scadenza a giugno era di 15 milioni annui) e anche del rapporto con Messi. L’amicizia tra i due sudamericani è un qualcosa di forte, tant’è che l’argentino non usò mezzi termini nel suo messaggio di saluto: “Ti hanno cacciato, meritavi un altro trattamento”. Qualcuno ha spiegato che l’interruzione del sodalizio tra Leo e Suarez avrebbe aiutato una squadra troppo dipendente dalla loro complicità. Scelta a posteriori (ma anche a priori) più che sbagliata.

E pensare che l’attaccante, quest’anno, avrebbe potuto giocare nella Juve accanto a Cristiano Ronaldo. La figuraccia sull’esame farsa per ottenere la cittadinanza italiana all’Università per Stranieri di Perugia ha fatto il giro del mondo. La Figc è ancora in attesa di ricevere gli atti dal procuratore Raffaele Cantone, richiesti già a settembre e sempre negati per la sussistenza del segreto istruttorio. E intanto il Pistolero ha rotto il silenzio negli ultimi giorni, rivelando che sulle sue tracce non c’era soltanto il club bianconero. Che continua a essere convinto della correttezza dell’operato di Fabio Paratici, indagato per aver fornito false informazioni al pubblico ministero.

Al Camp Nou si stanno mangiando le mani, compreso il tecnico Koeman. La stessa situazione si è verificata più o meno con Ivan Rakitic, rientrato al Siviglia per una cifra ridicola che ha però permesso alla dirigenza blaugrana di liberarsi di uno stipendio abbastanza importante. Dopo sei anni e 198 gol con la maglia del Barcellona, le lacrime di Suarez si sono trasformate in un grido di vendetta. L’Atletico guida incontrastato la classifica di Liga: otto punti in più sulle dirette concorrenti, una partita ancora da recuperare e la convinzione di avere in rosa una punta che in termini realizzativi e di leadership ha fatto dimenticare i bei tempi di Radamel Falcao.

Nonostante non abbia ancora avuto l’occasione di sentire da vicino l’affetto del Wanda Metropolitano, chiuso per Covid, ha già ricevuto in dono dai tifosi un coro che sta spopolando sui social. Emblematico il titolo: “Criminale dell’area”. I dati non mentono e mostrano come Suarez, con le sue reti, sia il giocatore più decisivo del campionato. Una delle operazioni manageriali più disgraziate del direttivo guidato dall’ormai ex presidente Bartomeu sta riportando alla luce alcuni episodi analoghi andati in scena da quelle parti. Impossibile dimenticare Samuel Eto’o, trasferitosi all’Inter nella trattativa per Ibrahimovic e divenuto simbolo del Triplete di José Mourinho. O anche David Villa, ceduto proprio all’Atletico in cambio di 5 milioni e in campo dal 1’ nella sfida decisiva contro il Barcellona che portò alla conquista del titolo nel 2014. Ma lì aveva un senso, era appena stato acquistato Neymar.

Fin troppo scontato il diverso peso tra i due Suarez. Il primo, quello dei blaugrana, era uno dei tanti (fuoriclasse, per carità) al servizio di Messi mentre il secondo, quello di adesso, è il perno offensivo della perfetta macchina del Cholo. A volte si assenta, ma quando ha una chiara occasione da gol non perdona. E Simeone non chiede altro. Ripagato l’ottimo lavoro (in cooperazione con il tecnico) del ds bresciano Andrea Berta, figura spesso sottovalutata. Un passato da bancario e un’attività nell’ombra che negli anni ha portato in rosa talenti diventati campioni. L’ultimo colpo ha smascherato le fragilità di un Barcellona privo di un vero numero nove. Anzi no, uno c’è. È Martin Braithwaite, preso a sorpresa nel febbraio 2020 fuori dalla finestra di mercato grazie a una norma prevista dalla federcalcio spagnola. Inutile stare a pontificare sulla differenza di rendimento. In quelle poche partite di Liga in cui è stato utilizzato da Koeman per tutti i 90’ (sette per la precisione) è andato a segno una sola volta.

Le reali conseguenze della cessione di Suarez dovranno essere valutate nei prossimi mesi. Però nel frattempo l’Atletico viaggia spedito verso l’undicesimo titolo della sua storia, il Barcellona inizia a farsi qualche domanda e il Real ha perso quel sorriso che era apparso nel giorno dell’ufficialità del trasferimento dell’uruguaiano ai colchoneros. La società di Florentino Perez era sicura di competere contro un Messi ormai indebolito e si sta invece ritrovando a inseguire il terzo incomodo, una formazione capace di concedere il minimo indispensabile (12 gol subiti nelle 20 gare disputate) e di mostrare la versione migliore di uno dei bomber più in forma d’Europa.

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