Quando il Movimento è in difficoltà, Beppe Grillo interviene. Il meccanismo è rodato, ormai automatico: il comico ha fatto un passo di lato, si è praticamente ritirato dalla vita politica e ha fatto in modo di non essere più disturbato, ma quando in ballo c’è l’esistenza stessa della sua creatura, lui non può che tornare sulla scena. E’ la variabile, l’unica, in grado di ribaltare ogni linea M5s e la regola è chiara a tutti: la trattativa con Mario Draghi può partire solo se il fondatore dà il suo benestare. Se è davvero il momento della maturità (copyright Luigi Di Maio) e se il M5s dovrà rispondere all’appello del Colle con il più difficile dei Sì, il garante sarà in prima fila con i suoi. Perché questo fanno i “padri” e Grillo, che pur vive con insofferenza ogni dinamica politica in cui cercano di trascinarlo, del Movimento non ha mai smesso di essere la guida. Non a caso la svolta delle trattative, lo ha rivelato il Fatto quotidiano, è stata una telefonata personale tra lui e Draghi. Qualcuno all’ex presidente Bce ha dato il consiglio giusto (“O si passa da Grillo o niente”) e il resto lo ha fatto la mediazione del più dialogante del gruppo: Roberto Fico. Due ore di chiacchierata e, come se qualcuno avesse buttato giù la prima tessera di un domino, il resto è successo quasi da solo: l’apertura di Di Maio, il discorso di Giuseppe Conte, il fronte dei governisti disponibile al confronto e le voci contrarie sempre più isolate. Ma sia chiaro: sedersi al tavolo non significa che la riserva è tolta. La benedizione di Grillo arriverà solo a certe condizioni e non è detto che il governo Draghi possa rispettarle tutte.

Perché se Grillo c’è, cambia tutto – Non basta infatti aver ottenuto la discesa del garante M5s a Roma per dichiarare chiusa la partita. Anzi, esperienza insegna, la sua presenza è tanto fondamentale, quanto ingombrante. Imprevedibile, istintivo, comico prima ancora che politico: Grillo nelle stanze della politica si è fatto conoscere per i suoi show e non certo per particolari doti di compromesso. Ma negli anni il suo ruolo è cambiato radicalmente, proprio come se fosse cresciuto con il suo Movimento. Così mentre chiedeva maturità ai suoi, lui ha iniziato a praticarla. “Non è più lo stesso”, lo contestano i critici. Vero, ma non lo ha mai nascosto. Anzi, lo ha rivendicato. Tanto che per il mondo 5 stelle rimane il visionario: ha capito che essere la forza più grande in Parlamento significa “responsabilità” e non si può più permettere il lusso dell’opposizione. E’ la parabola di Grillo: ha iniziato a sedersi ai tavoli per provocare, sfidare avversari del mondo che voleva “spazzare via”, è finita che a quei tavoli ora viene invitato per cambiare il corso della partita. E non può più permettersi di scherzare. Ecco perché, salvo sorprese, oggi non vedremo una scena come quella del 2014 quando, faccia a faccia con Matteo Renzi, iniziò con un monologo e la consultazione in streaming finì a insulti. “Beppe esci da questo blog”, gridò il senatore di Rignano. “Sei il potere marcio”, rispose Grillo. Meno di dieci minuti e tutti a casa. Ma dimentichiamoci anche il muro del 2013, quando, andò a incontrare Giorgio Napolitano e chiese l’incarico per il Movimento 5 stelle senza possibilità di mediazione. E poi mandò i capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi al massacro con Pierluigi Bersani con quell’accusa dissacrante per la “vecchia politica” (“Non siamo a Ballarò”) che ebbe l’effetto di un boomerang. Un po’ come quando, ai neoeletti in Parlamento, disse che “non dovevano vergognarsi di essere populisti”. Perché loro e non gli altri “parlavano alla pancia del Paese” ed era giusto così. Altra epoca, altre storie.

Oggi Beppe Grillo è una persona diversa. Per la maggior parte del tempo tace e anche se non approva tutto, molte volte fa finta di non vedere. Ma quando il Movimento rischia di perdere tutto, allora torna a farsi sentire. L’esempio lampante? Agosto 2019. La crisi del Papetee e le ambizioni dei suoi rischiavano di far saltare Giuseppe Conte per sempre, lui scrisse un post in difesa del premier e benedì l’alleanza con il Partito democratico. In casa 5 stelle rimasero senza parole e non poterono che ubbidire. Ma non è finita. Novembre 2019, neanche due mesi dopo la nascita del governo giallorosso e mentre dentro il Movimento andavano in scena faide e minacce di scissione, andò personalmente a Roma e prese sottobraccio Di Maio: ne uscì un videomessaggio che in un colpo solo blindò il capo politico e rilanciò il contratto di governo con il Pd. Perché secondo Grillo quella è la prospettiva, l’orizzonte. Perché con Conte ha creato un asse e quella responsabilità di governare e rappresentare la maggioranza del Paese, la sente tutta. E sa che le sparate o le provocazioni tanto per provocare non se le può più permettere. Certo preferirebbe fare altro, la crisi esistenziale del “cosa sono, chi sono diventato” lo travolge a mesi alterni e non lo lascia dormire (ci ha fatto pure uno spettacolo, Insomnia). Ma per chi si chiedesse chi è diventato, basta ripensare al suo ultimo comizio: Italia 5 stelle, Napoli 2019, mondo pre pandemia. Salì sul palco facendo il verso ai suoi che piagnucolavano “siamo andati col Pd” e il tradizionale “vaffa” lo dedicò a loro: “E’ meraviglioso, stiamo dando la linea al Partito democratico”, disse. Grillo nei 5 stelle lo ascoltano tutti per quel motivo lì: la scintilla è partita da lui e solo a lui viene attribuita la capacità di visione, di spiazzare, di vedere oltre. Per questo è l’unico che può prendersi sulle spalle il Movimento e indicare la direzione. Finora lo hanno seguito sempre, finora il M5s ha retto anche alle sterzate più violente.

Il voto online e le resistenze – E’ sufficiente come garanzia per il futuro? Per niente. La trattativa di queste ore è la più difficile, anche perché arriva dopo due governi con due alleati diversi e nel pieno di una pandemia che ha provato umori e stati d’animo. E soprattutto perché incombe lo spettro di sedersi al tavolo con l’unico partito sul quale il veto non è mai stato tolto: Forza Italia. Ovvero quella formazione che, anche se ripulita, in controluce fa vedere una sola persona: Silvio Berlusconi. Quello che preoccupa Grillo però non sono i consensi, ma il non poter portare avanti le promesse del Movimento. Lui e Casaleggio avevano un’utopia: che il M5s ad un certo punto diventasse inutile, perché tutto quello che aveva proposto era stato realizzato. Non sognavano il potere tanto per il potere, anzi una delle fisse era mollarlo prima che li logorasse. Probabilmente è già troppo tardi, ma lo capiscono in pochi. Per Grillo ora il problema è solo capire se il governo Draghi può portare avanti un pezzo del suo programma. O se è solo un scendere a patti che distrugge.

Ma come decidere? Una via d’uscita l’ha offerta Davide Casaleggio: votare sulla piattaforma Rousseau. E’ più facile a dirsi che a farsi. Nei terremoti degli ultimi mesi, proprio il sistema di voto online e i rapporti con il figlio del cofondatore sono finiti nel calderone di polemiche: attacchi sull’indipendenza, sul controllo che deve tornare in mano ai parlamentari. Gli Stati generali, quell’evento che al di fuori è stato per lo più incomprensibile, avevano sollevato anche quel problema. Ma al di là delle dinamiche interne, ci si chiede nella pratica che tipo di quesito potrebbe essere posto: sarebbe concepita l’ipotesi dell’astensione per i parlamentari? O ci si limiterebbe al “sì o no alla fiducia”? Avrebbe senso porre una questione così complessa alla base? Sono tutte domande che circolano nelle chat e nei corridoi. Chiaramente a fare la differenza saranno quasi unicamente le parole di Beppe Grillo.

Si racconta di un gruppo di senatori che sarebbe molto agguerrito e ancora molto contrario alla strada Draghi. Si dice che questa “giravolta” non gliela perdoneranno e al momento cruciale diranno di no. Ma la lista dei contrari potrebbe assottigliarsi molto se il fondatore uscisse dal tavolo con le garanzie che i temi del Movimento saranno nell’agenda del futuro governo, magari anche con una lista di ministri politici direttamente riconducibili al M5s. “Come si fa poi a dire di no?”, commentano alcuni parlamentari. “Sarebbe come mollare il campo e la partita, darla vinta a Renzi e al centrodestra definitivamente”. E Alessandro Di Battista? Lo raccontano “molto giù di morale”, deluso per quello che potrebbe succedere. Dice di aspettare a dare giudizi e comunque prima di arrivare a uno strappo definitivo ci penserà molto e non senza aver parlato con Grillo. L’ex deputato non voleva neanche il governo col Pd, pochi giorni fa si è lasciato scappare che si “auspica” Conte alla guida di una coalizione di centrosinistra alle prossime elezioni. Ma anche questo, Grillo lo aveva previsto. “E’ inutile pensare che abbiamo la stessa identità di dieci anni fa, non è così, siamo diversi, diversi dentro”, ha detto il garante sempre sul palco di Napoli nel 2019. Poco prima aveva proiettato un suo video dove, truccato da Joker, gridava: “Io non faccio piani, voi ne avete a centinaia. Io non vivo nei piani, vivo in questa legge della termodinamica dove si sfascia tutto e tutto deperisce e si trasforma in altre cose“. Ascoltato oggi, molto più di una previsione.

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