di Marco Barbagallo

Prima che Giuseppe Conte uscisse di nuovo allo scoperto, con il suo intervento pro-Draghi, ero sicuro che la linea più giusta da seguire per il Movimento 5 Stelle fosse quella dell’opposizione al nascente governo.

Certamente gli argomenti validi a favore della partecipazione del Movimento alla prossima coalizione di maggioranza ci sono, e non sono pochi: la gestione del Recovery Plan, il mantenimento di importanti misure (Reddito di Cittadinanza, Cashback, blocco dei licenziamenti ed altre) fatte soprattutto a protezione e sostegno di chi verrebbe, invece, macellato da un governo a trazione Lega, la compattezza del cosiddetto “campo progressista”, ecc.

Nonostante tutti questi buoni argomenti, però, pensavo che al Movimento non potessero fare che bene due anni in cui, mentre i partiti “draghisti” si fossero scavati la fossa con le loro stesse mani, i 5 Stelle avrebbero potuto cogliere l’occasione per risorgere ed andare alle prossime elezioni con un peso elettorale decisamente rigenerato.

Questo, dicevo, fino all’intervento di Conte. È sicuramente lui quello che ha più motivi di chiunque altro per sentirsi amareggiato dalla situazione creatasi: disarcionato dagli interessi del vero anti-politico dell’ultimo decennio (Renzi), non aiutato a sufficienza da un partito troppo ambiguo nei suoi confronti (il PD) e lasciato andar giù persino da uno che poteva e doveva coprirgli le spalle molto meglio (Mattarella).

Adesso, però, la sorpresa: Conte non si dichiara assolutamente ostile al governo Draghi e anzi rilancia, come mai aveva fatto, chiedendo agli “amici” (privilegiati?) del M5S di continuare il lavoro avviato per creare insieme a PD e Sinistra (MdP, SI, ecc.) quel cosiddetto “campo progressista” di cui si dichiara persino pronto ad essere il capo.

Ora, Conte sa perfettamente l’altissimo rischio che comporta la sua mossa ed il pesantissimo discredito personale che gliene deriverebbe qualora le cose non andassero così bene, ma ha scelto ugualmente di rimettersi in gioco invece di scegliere la strada, decisamente più comoda, di “fare il Prodi” (come accennato anche da Marco Travaglio ad Accordi & Disaccordi) e di essere quindi richiamato fra due anni da un M5S molto più forte di quello di adesso.

L’obiezione più ovvia a questo ragionamento è che, fra due anni di opposizione, il capo dei 5 Stelle potrebbe diventare Alessandro Di Battista, mentre lui sarebbe “solo” un semplice ministro di basso profilo (come nella squadra di governo presentata nel 2018). Il rischio di far fare una bruttissima fine alla sua immagine pubblica, però, è troppo alto per pensare che abbia scelto di sostenere Draghi solo per interesse personale.

E poi, credo davvero che Conte abbia abbondantemente dimostrato in questi anni di non essere così visceralmente legato al suo “particulare“, fin da quando accettò di essere il Presidente del Consiglio di una coalizione (M5S-Lega) da cui poteva uscire distrutto.

Probabilmente Conte ha anche degli ottimi motivi per ritenere che, invece, la partecipazione a questo governo Draghi potrebbe fare bene al Paese, al M5S ed al futuro “campo progressista”, e noi che osserviamo la politica “da fuori” non saremmo comunque in grado di conoscerli a fondo.

Quindi, nonostante i tantissimi motivi che mi spingerebbero più verso l’opposizione che non verso il sostegno a Draghi, voglio fidarmi di Conte e della strategia che ha in testa, anche se adesso non posso conoscerla, e sperare che i suoi interessi coincidano davvero coi nostri.

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