Nel giugno 2019 Papa Francesco, incontrando i giudici panamericani nel Vertice su “Diritti sociali e dottrina francescana”, richiamò l’attenzione su un importante concetto, che potrebbe riassumersi in: “Non c’è giustizia nella disuguaglianza”, tema trattato nella Enciclica “Laudato si’” del maggio 2015 e, in particolare, nel capitolo sull’Inequità Planetaria.

In questa ricerca analizziamo la giustizia nel mondo.

La giustizia dipende da molti fattori e soprattutto dal clima che vige nel Paese, determinato, per esempio, dalla possibilità di esprimere le proprie opinioni, di poter praticare la propria religione, di poter contare sulla parità di genere, ecc. In cima a queste graduatorie (Tab. 1), per maggior livello di inequità, stanno i Paesi dell’Asia e dell’Africa – a confermare quel divario che li separa dai Paesi occidentali – che si trovano in sofferenza non solo da un punto di vista materiale, ma anche immateriale, in una spirale viziosa in cui le povertà materiali alimentano l’ingiustizia, la mancanza di libertà, le diseguaglianze di genere, che a loro volta producono altre povertà materiali e via a seguire.

Nel 2017, 10 Paesi asiatici e 5 africani, con in testa le Maldive, occupavano i primi 15 posti della classifica degli Stati con minor libertà di pensiero, valutata in base ai diritti umani e allo stato giuridico di umanisti, atei e non religiosi. Di contro, tra i 15 Paesi a maggior libertà di pensiero, poco meno della metà (sei) sono europei, con in testa Belgio e Olanda, solo uno asiatico (Taiwan) e tre africani (Repubblica del Congo, Burkina Faso e Sao Tomè e Principe).

Nei Paesi a maggiore o minore libertà di stampa (Tab. 2), svettano – con l’eccezione di Cuba (Centro America) – tra i meno liberi solo Paesi asiatici (9) e africani (5). Tra chi, invece, ha maggior libertà troviamo solo nazioni europee (con i Paesi scandinavi e l’Olanda in testa) e tre eccezioni, Costa Rica (Centro America), Nuova Zelanda (Oceania) e Giamaica (Asia).

Non migliore la situazione per la parità di genere (Tab. 3), che vede lo Yemen in testa ai 15 Paesi che più di tutti la ignorano, seguito da 11 nazioni africane, mentre solo due Stati dell’Asia – peraltro molto occidentalizzati (Singapore e Corea del Sud) – si trovano tra i 15 che tendono verso una parità tra i sessi: gli altri 13 sono tutti europei, con al vertice la Svizzera.

Meno della metà dei Paesi del mondo (45,9%) viola in modo lieve il diritto alla libertà religiosa (Graf. 1), ma la restante parte si divide tra chi non tollera assolutamente il diritto a praticare la religione che si desidera (10,2%), chi in modo medio (18,4%) e chi in maniera preoccupante (25,5%).

A fronte del mancato rispetto verso le libertà degli individui, si contrappongono altri fenomeni, apparentemente in contraddizione con quanto osservato, come il tasso di detenuti (Tab. 4), che pone all’ultimo posto ben nove Paesi africani, due europei e quattro asiatici, mentre vede gli Usa al primo posto della graduatoria dei Paesi a maggior tasso di detenzione, seguita da ben otto Paesi del Centro America e solo da tre asiatici, due africani e uno dell’Oceania.

Il numero di esecuzioni (Tab. 5) vede gli Usa ai primi posti (25 nel 2018), ma svettano i numeri impressionanti di Iran (253), Arabia Saudita (149), Vietnam (85), Iraq (52) ed Egitto (43) che pure non sono quelli con il maggior numero di detenuti.

Una giustizia ancora praticata con la pena di morte (Graf. 2), che, sebbene tra il 2000 e il 2018 abbia visto aumentare il numero dei Paesi abolizionisti di oltre il 40%, ancora ne conta 69 che la praticano, contro i 109 del 2000.

La giustizia si può misurare indirettamente con l’Indice statistico di Gini, con la capacità, cioè, di ogni Stato di distribuire il più equamente possibile la ricchezza. I divari maggiori si notano nell’America del Sud e nell’Africa meridionale, mentre l’equilibrio maggiore si riscontra in Europa, dove, non a caso, le libertà individuali sono superiori, la pena di morte non si pratica e le carceri non traboccano di detenuti.

Nel grafico seguente, si evidenzia il maggior equilibrio in Europa, dove – con molta probabilità – il welfare produce i suoi frutti e dimostra che i modelli di maggior equità sociale, mitigando le distanze tra gli uomini ed estendendo i diritti primari e quelli legati alle libertà, sortiscono effetti migliori nel vivere civile, rispetto a quei Paesi dove regnano, in un circolo vizioso, la povertà, la fame, il disprezzo per le libertà umane, l’ingiustizia.

Ha collaborato Mariano Ferrazzano

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