Edith, tornata da lì, ha cominciato a scrivere e non ha più smesso. Ciò che ha visto subito è rimasto cristallizzato nei suoi libri. Sami ha ripercorso i passi che lo avevano fatto uscire vivo da un campo di sterminio. Lo ha fatto con ragazzi di scuole medie e superiori. Tatiana e Andra, imprigionate da bambine, hanno sopportato uno fra i dolori più atroci: vedere la propria madre sfinita dalla fame e dal dolore. E poi c’è Liliana. Rimasta in silenzio per 45 anni, ha deciso di iniziare a raccontare nel 1990, quando è diventata nonna. Lo scorso ottobre, dopo 30 anni di testimonianza, ha tenuto il suo ultimo incontro con le scuole in provincia di Arezzo. Secondo un’analisi svolta dallo storico della Shoah Marcello Pezzetti, gli ebrei italiani sopravvissuti alla deportazione che al momento attuale vivono in Italia sono circa dieci: “Le due sorelle Bucci sono italiane ma vivono una negli Stati Uniti e una a Bruxelles. Edith Bruck vive in Italia ma è ungherese: sono una decina, non di più”, spiega a Ilfattoquotidiano.it. Nedo Fiano, invece, anche lui a lungo testimone della Shoah, è deceduto il 19 dicembre scorso.

Oltre alla decina individuata da Pezzetti, poi ci sono diversi ebrei italiani che vivono al di fuori dei confini nazionali. In questo caso dare delle cifre precise diventa difficile: “Magari sono spostati negli Stati Uniti o in Israele. In questi casi però è veramente complesso reperire informazioni. Quello che abbiamo è una lista di persone nate dopo il 1920 che non ci risultano essere decedute”, spiega Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea. “Di loro però non sappiamo nulla, neanche dove abitano”. Comunque sia, è importante riportare le storie dei testimoni ebrei ancora in vita che negli anni passati (o ancora oggi) sono stati o sono fra i più attivi nella trasmissione della memoria.

Edith Bruck – Nasce a Tiszabercel, in Ungheria, il 3 maggio 1932. Nel 1944 viene rinchiusa nel ghetto ungherese di Sátoraljaújhely e da lì deportata ad Auschwitz, a Bergen Belsen e Christianstadt. “Una volta, ci fecero trasportare le uniformi dei soldati tedeschi dicendoci che ci avrebbero dato, poi, una doppia dose di zuppa. Però per me era troppo faticoso, pesavo 25 chili. Lasciai il carico per terra, nella neve: una SS mi colpì alla testa, rompendomi un orecchio. Mia sorella lo aggredì. Pensavamo che saremmo morte lì: invece ci risparmiò, dicendo che se un essere ignobile come un ebreo aveva il coraggio di colpire un tedesco meritava di sopravvivere. La sera, lo stesso soldato non mi fece mangiare”. A guerra conclusa ritorna nel proprio paese natale e in seguito si trasferisce in diverse città europee e in Israele. Nel 1954 si ferma a Roma, dove sposa il regista Nelo Risi. Poco dopo, comincia a scrivere. Il primo libro è Chi ti ama così, autobiografia che riporta la barbarie nazista: “Quando ero nei campi di concentramento e nessuno veniva a liberarmi mi chiedevo: come può il mondo essersi dimenticato di noi?”. Primo Levi definisce il testo “una testimonianza appassionata e indimenticabile della sua discesa agli inferi”. Ne seguono tanti altri: fra gli ultimi, nel 2019, Ti lascio dormire, dedicato al marito scomparso nel 2015, e Il Pane Perduto, uscito nei giorni scorsi a sessant’anni dalla sua prima pubblicazione.

Sami Modiano – Nasce nel 1930 a Rodi, all’epoca provincia italiana. Sempre qui, nel 1944, viene catturato dai nazisti. Nell’agosto dello stesso anno è deportato ad Auschwitz, dove rimane rinchiuso per sei mesi. Nel campo muoiono suo padre e sua sorella. Passano molti anni prima che Modiano decida di raccontare quello che ha vissuto. In seguito, sceglie di farlo tornando sui quei luoghi che sono stati la sua prigione: accompagna i ragazzi di scuole medie e superiori nei Viaggi della memoria: “Qui ho perso tutti. Non dimentico nulla: ho davanti agli occhi, ancora, mio padre che cercava di difendere mia sorella”, dice nel corso di un’intervista rilasciata alla Rai proprio ad Auschwitz. Nel 2013 pubblica Per questo ho vissuto. La mia vita ad Auschwitz-Birkenau e altri esili, in cui racconta la sua esperienza: “Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo”. La sua storia, oltre a numerosi documentari, è stata raccontata nel docu-film Tutto davanti a questi occhi di Walter Veltroni.

Tatiana Bucci, Andra Bucci – Vengono arrestate a Fiume nel 1944 e poi deportate ad Auschwitz. Hanno rispettivamente sei e quattro anni. A tradire la loro famiglia (e non solo) una persona che lavorava in sinagoga. Nazisti e fascisti portano via tutte le otto persone presenti in casa la mattina del 28 marzo. Una volta al campo di concentramento, non vengono uccise subito perché sono scambiate per gemelle: quindi, potenzialmente utili per gli esperimenti di Mengele, il “dottor Morte” al servizio dell’eugenetica nazista. Si salvano, forse, perché figlie di un padre cattolico, o forse perché una blokova (versione femminile di kapò) si affeziona a loro e decide di proteggerle. “Un simbolo della liberazione, per noi, è il salame che ci ha dato un soldato sovietico. Lo stava tagliando con un coltello a serramanico, seduto su una jeep. Noi bambini eravamo tutti intorno a lui”. Con loro c’è il cugino Sergio, sette anni, che però non sopravvive. Dal 2004 accompagnano le scuole in visita nei luoghi della memoria. Nel gennaio 2019 pubblicano Noi, bambine ad Auschwitz. La loro storia è raccontata anche nel primo corto animato prodotto in Europa dedicato alle vittime dell’Olocausto, ‘La stella di Andra e Tati’, disponibile da fine mese su TimVision.

Liliana Segre – La sua è una famiglia di ebrei non praticanti. Quando ha otto anni, le leggi razziali del 1938 le impediscono di andare a scuola. Nel 1943 l’arresto, dopo un tentativo di fuga in Svizzera, insieme al padre Alberto. Vengono internati entrambi nel campo di Auschwitz-Birkenau: Alberto muore il 27 aprile del 1944. Liliana sopravvive alla Marcia della Morte, la traversata verso la Germania a cui vennero sottoposti i prigionieri del campo per sfuggire all’avanzata dei Sovietici, e trova la libertà il 30 aprile del 1945. Sceglie di restare in silenzio per 45 anni, fino al 1990. Da allora, comincia una lunga serie di incontri con i giovani, nelle scuole di tutta Italia. Le sono state conferite due lauree honoris causa (in Giurisprudenza e in Scienze Pedagogiche) e nel 2004 ha ricevuto il titolo di Commendatore della Repubblica, su iniziativa di Carlo Azeglio Ciampi. Il 19 gennaio 2018, anno in cui ricadeva l’80esimo anniversario delle leggi razziali fasciste, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella la nomina senatrice a vita “per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”.

Tra i suoi primi atti la proposta di un’istituzione di una commissione parlamentare controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. Ha scritto numerosi libri sulla sua esperienza: fra i più recenti, Fino a quando la mia stella brillerà ( 2015), Scegliete sempre la vita. La mia storia raccontata ai ragazzi (2020) e La sola colpa di essere nati (2021). La sua storia è stata raccontata in vari documentari tv e opere teatrali. Nel novembre del 2019 le è stata assegnata la scorta, a seguito di alcune minacce ricevute: “Ho capito che per me era un grande regalo di rapporti umani: ho degli amici. Fra loro (gli agenti, ndr) e i miei nipoti non c’è differenza. Sono la nonna della mia scorta” disse qualche tempo fa, ospite da Fabio Fazio. Lo scorso ottobre ha dato la sua ultima testimonianza, in provincia di Arezzo. Tanti i ricordi che ha condiviso, fra cui questo: “Per un attimo vidi una pistola a terra, pensai di raccoglierla. Ma non lo feci. Capii che io non ero come il mio assassino. Da allora sono diventata la donna libera e di pace con cui ho convissuto fino ad adesso”.

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