Alle 18.50 di martedì 12 gennaio erano 53.730 gli ospiti delle Rsa italiane ad aver ricevuto la prima dose di vaccino anti Covid. Il 7% del totale. Un andamento decisamente sopra la media piemontese, dove Michele Alessandri, il presidente dell’associazione di gestori profit Anaste Piemonte, dalle colonne della Stampa ha lanciato fosche previsioni puntando il dito contro l’indisponibilità del consenso informato per gli anziani sotto tutela e un meccanismo troppo complesso per ottenerlo. Il tema, però, è stato a lungo dibattuto nelle scorse settimane, tanto che a inizio anno è stata varata una norma ad hoc e tribunali come quelli di Milano o della Liguria che in questi giorni hanno messo a punto appositi protocolli e vademecum per agevolare la messa in sicurezza degli ospiti delle strutture per anziani, che sono le prime vittime del Covid.

“La legge c’è e rende il meccanismo per ottenere il consenso molto più semplice. Con un presupposto: è talmente importante la vaccinazione che si valorizza la figura del responsabile medico e della famiglia”, spiega l’avvocato Luca Degani che è anche presidente di Uneba Lombardia, associazione che riunisce i gestori di strutture di area cattolica. Il punto di partenza è che parte degli ospiti delle Rsa sono incapaci e si possono trovare fondamentalmente in due condizioni: o hanno un amministratore di sostegno, un tutore, un curatore “e allora decide lui”. Oppure ci sono persone che sono incapaci naturali, cioè di fatto ma non di nome e quindi non hanno una tutela giuridica. Sono loro che hanno fatto nascere il problema e la norma ad hoc contenuta nel decreto legge 1 del 2021.

“La norma è intelligente e valorizza chi vuole bene all’interessato e chi capisce di cosa si sta parlando, dando al responsabile medico il titolo per esprimere il consenso, ma se ci sono parenti fino al terzo grado, chiede anche a loro di condividere la scelta”, spiega Degani. Se non ci sono sceglie lui. E se il medico raccomanda la vaccinazione, ma il parente dice no? “Non può vaccinare subito il paziente, manda una comunicazione al giudice tutelare che risponderà autorizzandola. E se entro 48 ore il giudice non risponde, vale la decisione del responsabile medico. Più chiari di così”.

Quindi le difficoltà non sono legate al consenso informato? “In questo momento sono piuttosto di tipo logistico-organizzativo“, sostiene il presidente di Uneba Lombardia. La pensa come lui il dottor Ernesto Pallumeri, consulente dell’Agenzia ligure della sanità (Alisa) per la gestione delle Rsa per l’emergenza Covid. “Abbiamo strutture dove il 60-70% degli ospiti non è pienamente consapevole. Il problema c’è e il governo l’ha risolto in maniera forse un po’ complicata, però lo si può affrontare subito, dopo il decreto del 5 gennaio dove c’è un articolo apposito sul consenso informato. Di conserva con i tribunali della Liguria abbiamo cercato di semplificare al massimo l’iter con protocolli appositi”, spiega Palummeri che non rileva difficoltà particolari nella campagna vaccinale ligure nelle Rsa imputabili al problema del consenso informato. “Mi hanno telefonato per altre problematiche, ma per questa no”, dice.

Sergio Sgubin che presiede l’associazione Ansdipp, associazione dei manager del sociale e del sociosanitario, sottolinea dal canto suo come questa situazione abbia finalmente posto il problema dell’avere o meno un amministratore di sostegno. E ricorda che a causare alcuni ritardi contribuisce anche il fatto che “non è così scontato” che si vogliano tutti vaccinare. Senza contare i problemi di approvvigionamento e della disorganizzazione generale.

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