Lasciamo perdere, per una volta, Nostradamus e i profeti di sventure: dopo un anno come il 2020, nessuno vuole farsi guidare nel 2021 da una Cassandra. E mostriamo di credere al venditore d’almanacchi che ci assicura a priori che l’Anno Nuovo sarà più felice, “più, più assai” di quello appena trascorso. Del resto, come dubitarne? Sarà, tanto per iniziare, l’anno del vaccino universale e del superamento della pandemia; e l’anno del “si riparte” con l’economia, il lavoro, la crescita.

In Europa, sarà l’anno della Brexit per davvero, del Recovery Fund, della Conferenza sul futuro dell’integrazione, delle elezioni in Germania e dell’inizio di un “dopo Merkel” che non ha ancora contorni precisi, mentre Portogallo e Slovenia si alterneranno alla presidenza del Consiglio dell’Ue.

Nel mondo, sarà – incrociando le dita, ché fino al 6 restano incognite – l’anno dell’uscita di scena, o almeno dalla Casa Bianca, di Donald Trump e dell’insediamento di Joe Biden alla presidenza Usa; del G7 sotto presidenza britannica e del G20 sotto presidenza italiana. Fronte clima, l’atteso ritorno degli Stati Uniti negli Accordi di Parigi potrebbe ridare slancio agli impegni collettivi per rallentare il riscaldamento globale.

La scienza, scrive Nature, propone tre missioni su Marte, fra cui la prima cinese, a caccia di tracce di vita passata e/o presente sul Pianeta Rosso; il lancio del telescopio spaziale Webb, il successore di Hubble; e ancora progressi nei vaccini, nuove linee guida per la ricerca sulle cellule staminali.

Per viaggi e vacanze, cultura e sport, sarà un anno somma: gli eventi lasciati indietro nel 2020 più quelli già previsti, gli Europei di Calcio tra giugno e luglio, i Giochi di Tokyo tra luglio e agosto e, nella seconda metà d’agosto, i Mondiali di Atletica a Eugene nell’Oregon. Le capitali della cultura europea saranno Timisoara (Romania), Elefsina (Grecia) e Novi Sad (Serbia). Il primo ottobre si aprirà l’Esposizione universale di Dubai negli Emirati arabi uniti. Tema “Collegare le menti, creare il futuro”: andrà avanti fino al 31 marzo 2022.

E, fra gli anniversari, peschiamo il 200esimo della morte di Napoleone, il 5 maggio: occasione imperdibile per fare la conta delle versioni della morte dell’Imperatore (e per scoprirne di nuove).

La democrazia e la pace: in Medio Oriente, dove Israele avrà in marzo le ennesime elezioni d’una fase tormentata della sua politica, gli Accordi di Abramo, un lascito di Trump cui pure Biden è favorevole, avranno ulteriori sviluppi, anche se non è certo che vadano nella direzione d’una pace e d’una sicurezza durature, poiché mirano soprattutto a consolidare l’egemonia saudita e ad arginare l’influenza iraniana nell’intera Regione.

E se la democrazia non pare avanzare nel mondo, tra nazionalismi, tribalismi e populismi; e se vi sono Paesi come la Libia dove le elezioni sono (e probabilmente resteranno) una chimera; il 2021 prevede in ottobre le prime elezioni dell’Assemblea consultiva del Qatar: “un passo importante”, enfatizza l’emiro Tamim bin Hamad Al-Thani. Il Consiglio della Shura, attualmente non eletto, consiglia l’emiro sui progetti di legge, ma non crea una propria legislazione e le sue indicazioni possono essere annullate con un semplice decreto. Dopo le elezioni, i poteri del Consiglio saranno ampliati, con la possibilità di revocare ministri, proporre leggi e approvare il bilancio: piccolo, ma indubbio, allargamento degli spazi di democrazia nel mondo.

E ancora Cina, Russia, il Brasile di Jair Bolsonaro – impeachment in vista? – e il Venezuela – ancora? – di Nicolas Maduro, le mille sfaccettature d’un 2021 da scoprire, le guerre che la pandemia ha quasi nascosto – quella nello Yemen, in particolare. La speranza è una rivalutazione del multilateralismo, dopo l’appannamento provocato dalla voga – al tramonto? – di nazionalismi e populismi.

Mettiamo a fuoco tre situazioni specifiche: gli Stati Uniti del dopo Trump; l’Ue tra Brexit e progetti d’approfondimento dell’integrazione; la Germania del “salto nel buio”, per un Paese che avrà avuto tre cancellieri in 40 anni.

Gli Stati Uniti: il nuovo non è mai stato così vecchio – quando una nuova Amministrazione s’installa, di solito bisogna scoprirne i volti nuovi. Stavolta, invece, si tratta solo di aggiornare biografie da tempo predisposte: un team di riserve promosse titolari, a partire dal capitano, o meglio dal “comandante in capo”.

La priorità contingente, nel breve termine, è sconfiggere la pandemia, che è più virulenta che mai – il record assoluto di decessi in 24 ore è del 30 dicembre: oltre 3.900 –, potendo contare sul vaccino. Ma la priorità di fondo è restituire coesione a una nazione mai così politicamente polarizzata, dove Trump è stato il frutto delle divisioni, ma le ha a sue volta esacerbate.

Biden e la sua amministrazione dovranno pure agire sull’economia, per ridarle crescita e slancio, e sulla collocazione internazionale degli Stati Uniti, lavorando con gli alleati e dialogando con i rivali (e non agendo contro gli uni e gli altri). Ci sono da ricucire i rapporti e da rattoppare una credibilità che Trump e i suoi sodali hanno seriamente danneggiato, schierando l’America con satrapie e oligarchie, uomini forti e tentazioni autoritarie, invece che dalla parte dei valori e dei diritti.

Secondo Romano Prodi, ex premier italiano ed ex presidente della Commissione europea, Biden ha già conseguito un risultato senza ancora essere presidente: l’accordo sulla Brexit tra Bruxelles e Londra sarebbe frutto della prospettiva d’avvicendamento alla Casa Bianca, perché Boris Johnson ha sentito venirgli meno l’appoggio anti-Ue di Trump.

Unione europea: un’agenda zeppa – rimettere in moto l’economia e fare ripartire la crescita con un esercizio di solidarietà innovativo, il Recovery Fund, o meglio il Next Generation Eu; assorbire la Brexit senza troppi contraccolpi negativi, dopo l’accordo in extremis che ha evitato lo shock d’una separazione senza intesa; maneggiare le novità del nuovo bilancio settennale; e, infine, realizzare la Conferenza sul futuro dell’Europa che la pandemia ha ritardato, ma le cui conclusioni dovrebbero coincidere, l’anno prossimo, nel primo semestre, con la presidenza di turno francese del Consiglio dei Ministri dell’Ue.

Senza contare priorità relegate dal coronavirus in secondo piano – l’immigrazione – o progetti cui il cambio della guardia a Washington rischia di mettere la sordina l’Europa della Difesa.

Ce n’è di cose da fare nel 2021, sull’agenda della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del suo team: un percorso da affrontare con due presidenze di turno “piccole”, ma non deboli – soprattutto il Portogallo ben sperimentato – e con le incognite delle insidie all’integrazione che sempre vengono da Polonia e Ungheria, Paesi “parassiti” che traggono dall’Ue tutti i vantaggi possibili, finanziari e normativi, ma non sono solidali con i partner e neppure rispettano valori fondamentali come lo stato di diritto e la libertà d’espressione.

Germania, la fine della “era Merkel”: le elezioni in Germania del 26 settembre segneranno, inevitabilmente, la fine di un’era durata 16 anni: le quattro legislature di Angela Merkel, cancelliera senza interruzione dal novembre 2005, vincendo quattro elezioni consecutive e costruendo su di sé un consenso trasversale ai partiti e alle coalizioni.

Nonostante il fallimento della sua delfina Annegret Kramp-Karrenbauer, la Merkel non intende ricandidarsi, ma il suo partito cristiano-democratico, che con gli alleati bavaresi cristiano-sociali resta nei sondaggi la forza di maggioranza relativa, non ha ancora deciso chi proporre come cancelliere: lo farà il 16 gennaio, in un congresso virtuale, scegliendo fra aspiranti tutti deboli rispetto ad Angela, la cui popolarità personale (oltre l’80%) è più che doppia di quella del partito.

L’incognita pesa sui conservatori, sui tedeschi, sugli europei, sull’Atlantico, sul mondo intero: chi governerà la Germania dopo la Merkel? Con i conservatori stagnanti, i socialdemocratici giù a picco, i verdi in ascesa, la destra in agguato; e che direzione prenderà in Europa, e nel mondo, la Germania del “dopo Merkel”? Resterà orientata verso una “leadership riluttante” o assumerà atteggiamenti più isolazionisti o più protagonisti?

Le risposte le darà il 2021.

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