L’isolamento dai compagni di scuola, l’impossibilità di fare attività fisica, la forzata e prolungata convivenza con la famiglia e la costante disponibilità di cibo in casa hanno peggiorato le condizioni di chi soffre di disturbi alimentari e incrementato del 30% l’incidenza di casi di anoressia e bulimia nel corso della pandemia. È il quadro che emerge a livello nazionale dall’analisi preliminare sui dati epidemiologici dei disturbi del comportamento alimentare, nell’ambito di un progetto per il contrasto alla malnutrizione in tutte le sue forme promosso dal ministero della Salute e attuato dalla Regione Umbria. Lo studio, partito nel 2019, si concluderà a dicembre. “Non sono dati confortanti purtroppo – commenta la psicoterapeuta Laura Dalla Ragione, a capo della rete per i disturbi del comportamento alimentare dell’Usl 1 dell’Umbria (che comprende anche il centro riabilitativo di Todi), nonché direttrice scientifica del progetto -. L’aumento esponenziale del 30 per cento delle persone affette da questa patologia registrato nel corso della prima ondata di Covid viene confermato anche oggi. Si assiste inoltre a un abbassamento rilevante dell’età di insorgenza, tra 10-11 anni, e una maggiore diffusione del disturbo nella popolazione maschile, due dati – sottolinea – che dovranno essere presi in considerazione nella programmazione dei servizi sanitari”. In futuro non sarà più una malattia di genere, fa notare la psicoterapeuta: “Dieci anni fa era colpito l’1 per cento dei maschi, oggi il dieci per cento e nella fascia 12-17 anni il 20 per cento. Tra dieci anni non ci saranno più differenze tra maschi e femmine”. Da marzo sono quintuplicate anche le chiamate al numero verde Sos disturbi alimentari (800180969), un servizio gratuito attivo dal 2011 e gestito dagli operatori del Centro per i disturbi del comportamento alimentare di Todi, che offre sostegno psicologico e indirizza alle strutture di cura e assistenza più vicine. “Il numero di telefonate che riceviamo è passato da dieci al giorno prima del Covid a 50” dice la psicoterapeuta.

Le storie – Ecco alcune delle testimonianze raccolte dagli operatori negli ultimi mesi. “Sono una ragazza di 20 anni”, racconta Elisa (nome di fantasia ndr). “Ho trovato questo numero su internet. Sento di avere perso tutti i punti di riferimento e sono confusa. Sono dovuta tornare a casa, studiavo fuori, ma con questa emergenza i miei genitori mi hanno spinto a tornare. In realtà sono quattro anni che sento di aver perso tutti i miei punti di riferimento e ora mi sento disarmata. L’essere tornare a casa mi fa sentire come se fossi di nuovo bambina”. Rita ha raccontato invece delle tensioni sul lavoro: “Aiutatemi, non so con chi parlare. Faccio tante abbuffate, mangio tutto il giorno, non riesco a fermarmi. Con la scusa dello smart working i miei colleghi mi chiamano sempre e lavoro dalla mattina alla sera, io mi arrabbio perché vorrei che mi lasciassero in pace ma non riesco a dirglielo. Allora mi sento male e mangio, ho la scrivania piena di merendine”. Luca invece ha telefonato per parlare della sua fidanzata: “Con la quarantena la sua Bulimia è peggiorata, non può più andare a lavoro, non sa se lo riavrà dopo la quarantena, non può più andare a nuotare, i genitori sono troppo occupati a litigare fra loro per accorgersi che lei stia male. Mi dice che le hanno tolto tutto, che le rimane solo il pensiero del cibo”. Poi c’è Stefania: “Mi sento grassa! Dopo aver smesso il nuoto a causa delle restrizioni dettate dal dpcm sono ingrassata 6,7 kg e non ce la faccio a vedermi così. Mi sento gonfia e pesante, ma la cosa più grave che continuo a mangiare a dismisura. Casa mia è piena di provviste e io sento di avere un gran vuoto dentro, non ho molti contatti con i miei amici, solo qualche messaggino, evito le videochiamate perché ho paura che i miei amici possano notare i kg presi”.

L’aggravarsi dei disturbi alimentari ha origine post-traumatica – “Il 50 per cento dei nuovi casi diagnosticati riguarda la bulimia nervosa – spiega Dalla Ragione -, caratterizzata da abbuffate seguite da episodi di vomito o utilizzo di lassativi per liberarsi dall’eccesso di cibo ingerito, e spesso accompagnata da consumo di droghe, alcol, cleptomania, disturbi della condotta sessuale e della personalità. Per il resto si tratta di anoressia nervosa – continua -, che si manifesta con l’ossessione per il proprio peso corporeo e restrizione dell’assunzione di cibo, e binge-eating, cioè abbuffate di cibo non seguite da pratiche di eliminazione o compensazione come nella bulimia, con conseguente aumento di peso”. L’aggravarsi dei disturbi alimentari durante il lockdown ha un’origine post-traumatica. “La privazione dagli amici, l’impossibilità di rifugiarsi in alcuni riti specifici, l’impossibilità di fare sport che accresce la paura di prendere peso e accentua, nel caso dell’anoressia, la restrizione dietetica, le difficoltà economiche delle famiglie, il peggioramento di relazioni già difficili con i genitori, con cui si deve trascorrere più tempo chiusi in casa – chiarisce Dalla Ragione – sono tutte espressione di questo disagio. I bambini cominciano a sviluppare forme di selettività o rifiuto totale del cibo. La paura del cibo è paura del mondo”. L’esperta evidenzia un altro ostacolo messo in luce dal lockdown, ossia “la discrepanza di assistenza tra le Regioni”.

Sul portale Disturbialimentarionline.it, promosso da ministero della Salute e Presidenza del Consiglio, è presente una mappa con le strutture dedicate. Dovrebbe essere garantita una rete di intervento su cinque livelli: il medico o il pediatra di famiglia, la terapia ambulatoriale, la terapia semiresidenziale, la riabilitazione intensiva residenziale e i ricoveri ordinari o di emergenza. “La diffusione dei centri specializzati è ancora a macchia di leopardo – fa il punto Dalla Ragione -. Alcune regioni hanno reti complete di assistenza, cioè Lombardia, Umbria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Basilicata. Mentre è incompleta in Lazio, Piemonte e Marche. O quasi assente in Calabria, Puglia e Sardegna. Questo determina grandi migrazioni da una Regione all’altra e un aumento della mortalità nelle regioni meno attrezzate”. Tanto da farle dire che “non si muore di anoressia e bulimia, ma si muore per non avere potuto accedere alle cure”. Nell’ambito della survey prevista dal progetto ministeriale, è stato rielaborato il dato di mortalità per i disturbi alimentari dai registri regionali delle cause di morte (Rencam): nel 2019 3700 pazienti sono deceduti per complicazioni collegate a questi disturbi o per suicidio. “Il tasso di suicidio dei pazienti con disturbi del comportamento alimentare è sei volte quello della popolazione normale” conclude Dalla Ragione. Intanto due società scientifiche, quella di riabilitazione interdisciplinare disturbi alimentari e del peso (Siridap) e quella per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare (Sisdca), hanno proposto al ministero della Salute di integrare l’elenco delle prestazioni coperte dal codice di esenzione per anoressia nervosa e bulimia nervosa (attuale codice 005) con accertamenti bioumorali e strumentali ritenute essenziali nella fase diagnostica. Un’altra richiesta riguarda l’inserimento nell’elenco delle prestazioni della visita dietologica per la valutazione dello stato di nutrizione ed eventuali prescrizioni.

Come chiedere aiuto?Per cercare le strutture e associazioni dedicate nel proprio territorio è utile consultare il sito www.disturbialimentarionline.it, che fornisce una mappa nazionale dei servizi pubblici e privati (ambulatoriali, residenziali, di day hospital o per ricovero ospedaliero). Oppure basta rivolgersi all’Asl di appartenenza e chiedere informazioni sui centri di disturbi alimentari attivati. A Roma, l’ambulatorio di riferimento è quello dell’Asl Roma 1 (per ogni informazione: www.aslroma1.it), oltre a quello dell’ospedale Bambin Gesù. “I genitori prendono appuntamento via mail o al telefono – spiega Armando Cotugno, direttore del centro disturbi del comportamento alimentare Asl Roma 1 -. Dopo una breve anamnesi telefonica, il paziente incontra un team formato da psicologo, psichiatra, nutrizionista e dietista per una valutazione che dura due ore e trenta ed è esente da ticket. Tutta la famiglia viene presa in carico e fondamentale è il supporto tra pari offerto da una onlus di genitori che hanno già vissuto la stessa esperienza”. A questo punto inizia il percorso di assistenza e riabilitazione. “Il paziente viene sottoposto ad accertamenti – continua Cotugno -, che prevedono esami del sangue, elettrocardiogramma, ecografia all’addome e al cuore, presso l’ospedale Santo Spirito, pagando un ticket di 50 euro. Il progetto terapeutico per il ripristino del peso dura circa 12 mesi e comprende colloqui settimanali con lo psicoterauta per il figlio e i genitori, insieme e separatamente. Se necessario, viene offerta l’assistenza ai pasti. In genere occorre un altro anno per concludere il percorso psicoterapico”. Il direttore del centro conferma un’esplosione di richieste di aiuto alla fine del primo lockdown. “Tra maggio e luglio sono raddoppiate, da 20 a 40 al mese, soprattutto per minori tra 12 e 17 anni con anoressia nervosa. Un numero maggiore di casi è arrivato in stadio di malnutrizione più grave – osserva Cotugno -, con un indice di massa corporea sotto 15, mentre prima si aggirava tra 15 e 17”. L’Asl Roma 1 da marzo potenzierà il servizio per i disturbi alimentari con un centro diurno (con pasti assistiti) e una struttura residenziale con dieci posti letto. Un traguardo importante ma purtroppo in Italia sono ancora pochi i servizi così.

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