L’Italia avrà presto una nuova geografia politica. Dopo la vittoria del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari, si è subito messo moto l’iter per rivedere i collegi elettorali. La riforma è stata interamente elaborata da una commissione tecnica – composta da dieci esperti in materia e presieduta dal presidente dell’Istat – per garantire “la massima neutralità” e approvata senza modifiche dall’esecutivo nel consiglio dei ministri del 25 novembre. Il testo ora è stato trasmesso alle Camere in modo tale che le Commissioni competenti possano fornire il proprio parere prima del via libera finale. La nuova mappa dei collegi si basa ovviamente sulla legge elettorale attualmente in vigore, cioè il Rosatellum, e il ministro per i rapporti con il Parlamento Federico D’Inca l’ha definito “un adempimento costituzionale necessario in attesa che sia approvata la nuova riforma elettorale all’esame delle Camere”.

Come cambiano i numeri – Se invece si dovesse andare a votare con il meccanismo attuale, ecco che entrerebbero in gioco i nuovi collegi. Il Rosatellum, utilizzato per la prima volta alle politiche del 2018, prevede che una quota dei seggi venga assegnata con un sistema maggioritario (in ciascun collegio viene eletto solo il candidato più votato), mentre l’altra quota viene ripartita proporzionalmente (i partiti presentano un listino di candidati in ogni collegio e i seggi vengono distribuiti a ciascuna forza in base ai voti ricevuti). Va da sé che, con la riduzione dei parlamentari da 945 a 600 (400+200) voluta dai cittadini, i collegi devono essere ridotti allo stesso modo. Per quanto riguarda Montecitorio i deputati eletti nei collegi plurinominali (cioè con il proporzionale) passano da 386 a 245, mentre quelli eletti con il maggioritario da 232 a 147. Da 12 a 8 i parlamentari eletti all’estero. A Palazzo Madama i numeri calano ancora di più: si scende da 193 a 122 senatori eletti nei plurinominali e da 116 a 74 negli uninominali. Da 6 a 4 i senatori scelti dagli italiani che vivono all’estero.

I criteri scelti dagli esperti – Il vero nodo, però, riguarda come i singoli collegi vengono disegnati sul territorio: scelte che, se non fatte con imparzialità, possono condizionare i risultati elettorali favorendo questo o quel partito (magari più presente in una certa zona del Paese rispetto ad altre). È per questo che il governo ha deciso di affidare l’intera partita a una commissione esterna. Presieduta dal presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, ne fanno parte docenti come Attilio Celant, emerito di geografia economica alla Sapienza, Paolo Feltrin, che insegna scienza della politica a Trieste, Pierpaolo D’Urso, ordinario di statistica. A loro si aggiungono altri professori universitari specializzati in demografia, sociologia, diritto costituzionale e geografia. Come si legge nella loro relazione, che Palazzo Chigi ha approvato senza modifiche, i criteri adottati più importanti riguardano la percentuale di popolazione media compresa in ciascun collegio (non oltre il 20% in più o in meno rispetto agli altri) e la distribuzione geografica: si è cercato di favorire il più possibile l’integrità delle unità amministrative (comuni, province e città metropolitane), così come la continuità del territorio e le minoranze linguistiche. Il tutto tenendo conto dell’accessibilità viaria/ferroviaria dei comuni inseriti in ciascun collegio e le eventuali “discontinuità morfologiche”.

La simulazione nelle Regioni – Il risultato – come dimostrano le cartine pubblicate da YouTrend – varia quindi da regione a regione, ma a grandi linee si è cercato di garantire ovunque un rapporto di 150mila abitanti per seggio elettorale alla Camera e uno ogni 300mila al Senato. La Regione con più deputati da eleggere, e quindi con più collegi, resta la popolosa Lombardia: in totale sono 64 (divisi in 4 circoscrizioni), di cui 23 all’uninominale. Due spettano ad esempio alla provincia di Monza e Brianza, con i comuni divisi tra l’area di Monza e quella di Seregno. L’hinterland milanese va dall’area di Cologno Monzese a quella di Rozzano (a sud), mentre Legnano e i comuni vicino a Sesto San Giovanni fanno collegio a sé. Lo schema si ripete in tutte le altre province. Tra le Regioni più piccole c’è la Valle D’Aosta, che come in passato elegge un singolo deputato e un senatore. Mentre il Molise, con il taglio degli eletti, passa da 3 a 2 deputati: e dal momento che uno viene eletto con il proporzionale e l’altro con il maggioritario, c’è un unico grande collegio che raggruppa l’intera Regione. Stessa cosa per la Basilicata, mentre la Sardegna viene ad esempio divisa in quattro aree orizzontali all’uninominale (prima erano sei): c’è il collegio a Nord che fa capo a Sassari, più giù Nuoro e limitrofi, poi Carbonia e a Sud il collegio di Cagliari. Perde un collegio pure l’Umbria, che ora è spaccata a metà tra l’area di Terni e quella di Perugia.

Grandi città (e prime proteste) – Per quanto riguarda le 6 grandi aree metropolitane del Paese – Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli e Palermo – visto l’alto tasso di popolazione, la commissione tecnica è stata costretta a suddividerle al loro interno. Torino, Genova, Palermo e Napoli potranno contare su due collegi uninominali, tre a Milano. La Capitale è un caso a sé: i quartieri sono stati raggruppati in 7 collegi uninominali, a cui si aggiungono 3 maxi collegi per il proporzionale. Non mancano però alcuni casi particolari segnalati negli ultimi giorni: a Teramo, ad esempio, le opposizioni denunciano che il loro collegio uninominale verrà diviso in due (una parte confluirà in quello di Pescara, l’altra con l’Aquila), mentre quello di Vasto sarà accorpato a Chieti. In Piemonte, invece, c’è chi segnala la spaccatura della provincia di Cuneo: il collegio uninominale 05 comprenderà il capoluogo e cinque delle “sette sorelle” (i comuni principali della zona), mentre Alba e Bra andranno nel collegio 04 insieme ad Asti e ai paesi delle Langhe e del Roero.

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