C’è agitazione in questi giorni tra i vari gruppi e associazioni di persone disabili. A novembre è prevista finalmente l’erogazione del famoso aumento delle pensioni di invalidità.

Molte persone disabili, verificando sul sito Inps il proprio cedolino pensione, si sono accorte che la maggiorazione non c’è stata e non è stato riconosciuto l’importo che ci si aspettava, come in una sorta di lotteria dove non vince nessuno, ma perdono tutti.

La sentenza N. 152 del 23 giugno-20 luglio 2020, insieme a alla Circolare Inps 107 del 23 settembre 2020 stabilisce che hanno diritto all’incremento previsto dall’articolo 38, comma 4, della legge 448/2001 anche invalidi civili totali o sordi o ciechi civili assoluti titolari di pensione o che siano titolari di pensione di inabilità previdenziale (legge 222/1984) dai 18 ai 60 anni: l’incremento consente di arrivare ad una erogazione complessiva pari a euro 651,51, per tredici mensilità.

Tutto bene fin qui, sembrerebbe, e invece no.

Innanzitutto non si tratta di un aumento, ma di un incremento, il che significa che ci sono dei limiti reddituali, che si aggiungono al requisito di inabilità e disabilità civile totale, oltre i quali non si avrà diritto alla maggiorazione.

I limiti sono già indicati dalla sentenza: “I limiti reddituali che consentono di usufruire del beneficio sono rispettivamente: per l’anno 2019 euro 8.442,85 per il pensionato solo ed euro 14.396,72 per il pensionato coniugato e per l’anno 2020 euro 8.469,63 per il pensionato solo ed euro 14.447,42 per il pensionato coniugato”.

Anche qui, sembra tutto corretto: se ho i requisiti e non supero il reddito come disabile singolo o come coniugato, avrò diritto all’incremento di 350€ e rotti; e invece anche qui c’è un intoppo.

L’incremento massimo spetta solo al disabile che abbia reddito pari a zero, qualsiasi altro reddito personale, o da coniugato, diminuisce l’incremento fino ad azzerarlo.

“Il citato art. 38, della legge 448/2001 nel suo complesso precisa, al comma 5, che a) l‘incremento di cui al comma 1 è concesso in base alle seguenti condizioni: il beneficiario non possieda redditi propri su base annua pari o superiori a euro 6.713,98; b) il beneficiario non possieda, se coniugato e non effettivamente e legalmente separato, redditi propri per un importo annuo pari o superiore a euro 6.713,98, né redditi, cumulati con quello del coniuge, per un importo annuo pari o superiore a euro 6.713,98 incrementati dell’importo annuo dell’assegno sociale; c) qualora i redditi posseduti risultino inferiori ai limiti di cui alle lettere a) e b), l’incremento è corrisposto in misura tale da non comportare il superamento dei limiti stessi”.

I limiti di redditi 2019-2020 sono stati adeguati rispetto all’art. 38 del 2001 e quindi il limite è più alto. Ciò significa, modificando i redditi al limite fissato per il 2019-2020, che l’incremento viene dato fino a raggiungere quella cifra stabilita come limite reddituale.

Vediamo un esempio concreto, con le varie possibilità:

1 – Se io sono una persona disabile civile totale o inabile al lavoro che non percepisce reddito, e non sono coniugato, avrò l’incremento massimo tale da fare arrivare la pensione a 651€ mensili.

Anche se, per assurdo, sono convivente, in una coppia, o con i genitori (il limite reddituale infatti è personale o da coniuge, non del nucleo famigliare, come accade con i valori Isee).

2 – Sono singolo, autonomo ma percepisco reddito oltre la pensione: in questo caso mi spetterà l’aumento tale da far arrivare la somma della pensione più il personale reddito al limite di 8.469,63.

Esempio. Il reddito personale è di 2.500 euro/anno, la pensione già percepita è 3.728,53 euro/anno. (Valore identico per tutti coloro che sono invalidi totali), risultato: l’incremento mensile della pensione a cui si ha diritto è di 172 euro.

3 – Sono coniugato, ho reddito personale pari a zero (non lavoro), ma il mio coniuge ha redditi personali derivanti da lavoro part-time, vale lo stesso discorso del punto precedente, cambia solo il limite di 14.447,42 euro.

Esempio. Il reddito proprio è di 0 euro/anno. Il reddito del coniuge è di 10.000 euro/anno. Pensione già percepita 3.728,53 euro/anno. Risultato: l’incremento mensile della pensione a cui si ha diritto è di 55 euro.

Avete letto bene: 55 euro.

Già la maggiorazione spetta solo a coloro che hanno l’invalidità totale, il 100%, ora anche un’ulteriore discriminazione tra chi lavora e chi no, tra chi di questi vive ancora nella famiglia d’origine e tra chi si è voluto costruire una famiglia e magari ha avuto anche l’ardire di sposarsi.

Sì, perché se sei sposato e tuo marito/moglie lavora, allora non hai diritto a nulla, o al massimo alle briciole, mentre se sei ancora a vivere con i genitori allora hai l’aumento, ma anche se solo convivi di fatto con qualcuno hai l’aumento.

A voler essere realisti, sembra davvero che si voglia dire che è meglio non rendersi automi, non legittimare un rapporto: solo così si avrà diritto a un aumento di una pensione che comunque rimane ridicolo, ed è ben poca cosa rispetto a ciò di cui avrebbe bisogno una persona affetta da disabilità grave.

Avrebbe senso il contrario, ovvero aiutare e incentivare, anche con questo minimo aumento di pensione, chi con coraggio decide di prendere in mano la propria vita, creandosi una certa autonomia e una famiglia viene penalizzato ulteriormente. Altrimenti perché si conterebbe il reddito da singolo e da coniugato e non l’Isee?

Come a suggerire: “Non lavorare, non sposatevi, continuate a farvi assistere da mamma e papà…”

“Una provocazione… – come mi racconta Samanta Crespi – chi come me è una mamma disabile al 100% disoccupata, ma sposata e il cui marito che lavora parte-time (non folleggiamo a fine mese, si intende), sarebbe quella di divorziare per prendere l’incremento per intero. Non lo faccio primo, perché mi costerebbe più il divorzio che quello che guadagnerei con la maggiorazione della pensione; secondo, perché ci tengo ad aumentare le statistiche della durata dei matrimoni e per terzo, ma non meno importante, amo mio marito, con o senza soldi dell’incremento. La vita autonoma e dignitosa di una persona con disabilità – continua – non può passare e non dovrebbe aggrapparsi solo a queste cifre ridicole, che ci vengono concesse come sostegno pietistico, ma dovrebbe essere legittima e ripensata come un diritto e un dovere dello Stato”.

Infine: “Nessuno di noi vuole essere un peso per gli altri, ma ciascuno ha anche diritto di avere una famiglia, un lavoro, se lo desidera, senza vedersi decurtare il famoso l’incremento della pensione, o peggio la pensione stessa”.

La nostra non deve diventare una guerra tra poveri, o tra disabili di serie A e serie B, la vita è già in salita: non facciamola diventare una scalata su parete verticale senza corde.

Ringrazio Samanta anche per l’aiuto nel comprendere questa ingarbugliata storia.

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