“Non tutte le donne hanno il ciclo. E non tutte le persone che hanno il ciclo sono donne. Celebriamo la diversità di tutte le persone che hanno le mestruazioni!”. Con questo tweet, Tampax ha scatenato un delirio nel mondo statunitense e anglosassone che va avanti da più di un mese. L’azienda sta inseguendo la tendenza pubblicitaria dell’anno: parlare di ciclo senza più tabù.

Che sia o meno un’operazione commerciale qui mi interessa poco, le mestruazioni sono da secoli l’argomento di cui non si può parlare. Sin da ragazzine veniamo abituate a nascondere gli assorbenti e passarceli con la stessa agitazione che avrebbe un narcotrafficante all’aeroporto, ad andare a scuola e a lavoro anche quando i crampi e i dolori mestruali ci stanno consumando, a vergognarci di un’involontaria macchia di sangue.

Perciò ogni occasione è buona per parlarne apertamente, anche la pubblicità mainstream. Stavolta Tampax si è spinta oltre, con una dichiarazione piuttosto coraggiosa: aprire le porte alla comunità trans ha fatto scattare le prime operazioni di boicottaggio.

Infatti, se il ciclo riesce ad avere ancora poca visibilità, ancor meno ne hanno le persone trans. Non abbiamo idea, ad oggi, di quante siano nel nostro paese. Basandosi su statistiche internazionali, si può stimare che la popolazione trans vada generalmente dallo 0,5% fino a sfiorare l’1% degli abitanti di uno Stato occidentale; numero che corrisponderebbe a circa 400.000 persone in Italia. Ahimé, l’ultimo studio di casa nostra in materia risale a quasi dieci anni fa, includendo nella categoria solo le persone che si sono sottoposte alla riattribuzione del sesso tra il ’92 e il 2008. Sono in totale 549.

Pur volendo giocare al ribasso, direi che all’appello ne mancano un bel po’. Per questo sarebbe più corretto iniziare a usare il termine transgender (persone che transitano da un genere all’altro), senza parlare necessariamente di transessuale (almeno lì dove la componente del cambio di sesso non è presente con percorso clinico-medicale). Le parole più semplici e inclusive? Persona trans.

Torno sulla polemica. Ciò che sembra impossibile da accettare è il fatto che le persone non binarie, o quelle trans FtM (quindi in transizione dal sesso femminile a quello maschile) possano avere il ciclo mestruale. È invece molto comune, dal momento che solo una percentuale delle persone trans che si identificano nel genere maschile si sottopone alla terapia ormonale o alla riattribuzione chirurgica degli organi genitali che combaciano con la propria identità (rilascio clitorideo, metoidioplastica, falloplastica).

In soldoni? Queste persone hanno tutto il diritto di identificarsi ed essere riconosciute come uomini, chiamate con i giusti pronomi e tuttavia continuare a utilizzare tamponi e assorbenti, se questa è la scelta che hanno fatto o la condizione in cui si trovano; che i motivi siano economici, clinici o di qualunque altro tipo, la faccenda è privata, quel che spetta a noi è solo il riconoscimento dell’autonomia e dell’identità altrui.

Forse ancor più impensabile per i criticoni di Tampax è l’idea che le persone MtF possano essere considerate donne a tutti gli effetti, pur non avendo il ciclo. Di recente su questo tema è stato detto di tutto, in seguito alle dichiarazioni della scrittrice J.K. Rowling. Secondo molte femministe terf (cioè quelle che escludono le donne trans dalle battaglie per i diritti delle donne) la smania di inclusione della comunità T nei temi femministi sta oscurando del tutto le donne “cis”, quelle vere con il copyright.

Anche stavolta il succo sembra uno soltanto: se ti definisci “donna” e non sei nata con un utero e una vagina, non puoi esserlo per davvero. Tutto il resto non conta. Paradossalmente sono invece considerate donne a tutti gli effetti le persone transgender FtM che hanno ancora l’apparato riproduttivo femminile, cioè quelli che non vogliono affatto essere donne, perché si riconoscono nel genere maschile.

Per chi ha una mentalità conservatrice, tutta la faccenda dell’identità di genere sembra essere surreale. A me pare più assurdo, invece, il fatto che non si riesca semplicemente a rispettare le volontà di ognuno, per il semplice e meraviglioso gesto di fargli del bene e riconoscerne l’identità.

In mezzo a una transfobia generalizzata, c’è un commento che forse riassume al meglio la considerazione che dovremmo avere per le storie degli altri: “sono un uomo trans (quindi una persona nata di sesso femminile, nda) e ho avuto il ciclo per tredici anni. Grazie! Ora non ce l’ho più e per fortuna non ho più bisogno dei vostri prodotti, ma questo tweet mi ha fatto sentire bene e mi fa ben sperare per chi invece ne ha ancora bisogno”. Cosa toglie davvero alle donne questo tipo di inclusione? Nulla.

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