“In rapporto alla popolazione, la Svezia è quindicesima in Europa per numero di contagi e settima per numero di morti. Ha avuto un approccio diverso da quello da altri Paesi, centrato su sostenibilità delle misure e responsabilità individuale. Ma al di là degli errori nelle case di riposo, che sono stati la causa principale di questa alta mortalità, finora non c’è stata una particolare criticità nelle terapie intensive”. Gaetano Marrone, professore associato in Sanità globale del Karolinska Institutet di Stoccolma, tra gli istituti di ricerca in medicina più importanti al mondo fa il punto a ilfatto.it sulla situazione Covid in Svezia, che al lockdown ha preferito una strategia basata sulla “raccomandazione” e non sulla coercizione. A oggi il Paese vive sì un aumento dei contagi, ma nessuna massiccia seconda ondata come sta succedendo in Europa, Italia compresa. Ha però avuto però il record di vittime in Scandinavia. Guardiamo ai numeri: su una popolazione di 10,2 milioni di abitanti ci sono state 5900 vittime e 103mila casi. Per fare un paragone coi Paesi vicini, in Danimarca i morti sono stati 677 (popolazione di 5,8 milioni di abitanti), 278 in Norvegia (popolazione di 5,4 milioni di abitanti) e 351 in Finlandia (popolazione di 5,5 milioni).

Perché così tanti decessi?
Una delle ragioni è sicuramente l’alto tasso di mortalità nelle case di riposo a causa degli errori ammessi da parte degli enti svedesi stessi. Per il resto, è difficile fare confronti al momento perché ad oggi molti paesi sono in diversi momenti della curva epidemiologica.

Le vittime nelle case di riposo sono state tantissime.
Inizialmente, vista la natura sconosciuta della malattia, il personale non ha avuto una formazione adeguata. In più materiale e dispositivi di protezione non erano sufficienti e le regole per mantenere l’igiene non erano chiare.

E come viene gestito adesso il rischio contagio nelle strutture per anziani?
La situazione ora è migliorata sensibilmente.

Crede che l’approccio che ha avuto la Svezia – senza lockdown e facendo pieno affidamento sulla responsabilità individuale anche per l’autoisolamento – sarebbe stato possibile in Italia?
In Svezia c’è un solido rapporto di fiducia tra la popolazione, il governo e l’agenzia di sanità pubblica alla quale è stata affidata la gestione della pandemia. In generale, la popolazione segue le indicazioni del governo e la filosofia svedese è centrata sul concetto di raccomandazione, cercando di evitare il più possibile formali imposizioni. La raccomandazione è però vista dalla popolazione come un dovere, senza la necessità di sanzioni nel caso in cui non si segua. In Italia, invece, la popolazione tende forse a seguire direttive più specifiche ritenendo la “raccomandazione” poco più di un consiglio, in assenza di sanzioni. Credo che questo approccio non sarebbe stato possibile in Italia per questo motivo e per il fatto che l’Italia ha avuto un aumento esponenziale improvviso e grave dei casi di Covid-19 a inizio pandemia, con il sistema sanitario arrivato velocemente al collasso, e doveva prendere decisioni drastiche in poco tempo.

La Svezia è stata al centro delle polemiche in tutta Europa e nel mondo per la sua gestione della pandemia.
Alla base c’è stata proprio la convinzione che la popolazione avrebbe dovuto imparare a convivere con il virus: la Svezia quindi, rispetto al lockdown duro, ha scelto un intervento più sostenibile sul lungo periodo, evitando di chiudere tutto e focalizzandosi sulla sensibilizzazione della popolazione. Parliamo di lavare le mani, non uscire se si ha anche un minimo sintomo, mantenere le distanze di sicurezza ed evitare assembramenti. Su questo ci sono state linee guida specifiche che fissavano il limite massimo di persone nei locali pubblici e altre regole di distanziamento nei luoghi chiusi, poi lezioni a distanza per università e scuole pubbliche secondarie e incoraggiamento dello smart working.

L’epidemiologo di Stato Anders Tegnell ha più volte fatto mea culpa, dicendo che avrebbero potuto “fare meglio”, e anche medici e scienziati hanno criticato le scelte del governo.
C’è stato, ed è tuttora in corso, un ampio dibattito riguardo la gestione della pandemia. La verità è che nessuno sa quale sia la scelta migliore. Molti paesi hanno messo in atto strategie tra loto diverse e per capirne bene le ragioni bisognerebbe studiare e conoscerne a fondo la storia. La scelta migliore in un contesto sociale ed economico potrebbe non esserlo in altri contesti. Credo che il confronto non vada fatto tra nazioni ma entro le stesse nazioni: ognuna ha imparato come meglio gestire la crisi sanitaria, anche se in maniera diversa, e si spera che se mai ce ne sarà un’altra tutti saranno più preparati.

La strategia della Svezia perseguiva l’immunità di gregge che, però, non è stata raggiunta.
La Svezia non ha mai ufficialmente dichiarato di puntare all’immunità gregge, anche se, inizialmente, si è più o meno legittimamente creduto che questa fosse la sua linea. La linea guida è quella di sensibilizzare l’opinione pubblica a mettere in campo comportamenti corretti che possano contenere i contagi, entro la soglia di ciò che il sistema sanitario può sostenere.

A metà settembre l’Oms ha elogiato la Svezia perché, al contrario di quanto stava accadendo in Europa, riusciva a contenere i casi.
In realtà anche la Svezia sta registrando nelle ultime settimane un aumento dei positivi, così come avviene in molti altri Paesi europei, anche grazie a un maggiore numero di test effettuati. Un incremento di casi che, al momento, non è seguito dall’aumento dei posti occupati in terapia intensiva o della mortalità.

Qual è la procedura per farsi un tampone?
Un cittadino può farlo gratuitamente in caso di sintomi. Tuttavia, negli ultimi mesi, alcuni Paesi hanno richiesto un PCR negativo per i viaggiatori in arrivo dalla Svezia, con certificato medico in inglese. Questi test e documenti, in assenza di sintomi, sono rilasciati da enti per lo più privati, a pagamento.

Il contenimento dei contagi quando in Europa aumentavano è anche legato a una sorta di “distanziamento naturale” dato dalla minore densità della popolazione?
Le differenze con l’Italia sono tante: possiamo certamente citare una minore densità della popolazione, ma anche una struttura famigliare diversa: qua spesso i ragazzi appena raggiunta la maggiore età vanno a vivere da soli, gli asili e le scuole fanno orario full time e quindi non c’è quella indispensabile interazione bambini-genitori-nonni che spesso c’è in Italia quando entrambi i genitori lavorano. In aggiunta, il senso di responsabilità individuale anche in presenza di sole raccomandazioni ha favorito un contenimento della pandemia entro le capacità del sistema sanitario.

Nel resto d’Europa a preoccupare è l’arrivo della stagione fredda e delle influenze. Anche in Svezia è così?
Certamente c’è molta più consapevolezza rispetto alla primavera. La gente è molto attenta al distanziamento sociale e sa bene cosa fare per evitare i contagi. C’è consapevolezza ma non panico né tra l’opinione pubblica né tanto meno sui giornali: sfogliando quotidianamente quelli online, il Covid-19 non è sempre tra le prime notizie, seguendo il classico approccio lagom – equilibrato, ndr – svedese.

Scuole e uffici sono tornati alla normalità?
Le scuole superiori sono libere di decidere se fare didattica online o a distanza. Gli asili e le scuole primarie fanno didattica in presenza, con la forte raccomandazione di non mandare i bambini a scuola anche con il minimo raffreddore. Per quanto riguarda gli uffici, c’è un lento ritorno alla normalità, ma il governo invita a lavorare da casa.

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