Anche 10 ore di fila ai drive-in, sei-sette giorni di media per i risultati del test molecolare, sierologici che si perdono per strada e protocolli nelle scuole sotto attacco. Nonostante i 14-15mila tamponi al giorno – ormai il doppio dell’osservata speciale Campania – il Lazio inizia ad avere seri problemi con il contact tracing. E ogni giorno che passa la fotografia dei contagi rischia sempre più di riferirsi alla settimana precedente piuttosto che al momento attuale. Tutto mentre in provincia di Latina sono state appena varate le nuove misure restrittive e si sta facendo di tutto per evitare il ritorno del lockdown vero e proprio, che rappresenterebbe la bandiera bianca alla seconda ondata del Covid-19. Il problema è che di media, nel Lazio si svolgono circa 30-33 tamponi per ogni positivo. Ma per gli studenti i contatti rintracciati sono circa 100-150 ciascuno. Un “imbuto” nel tracciamento territoriale. I numeri d’altronde parlano chiaro: alla giornata di giovedì 8 ottobre, in Regione i contagi giornalieri sono 359 su 13mila tamponi eseguiti, con 6 decessi, mentre i ricoverati in terapia intensiva sono arrivati a quota 55.

In tilt il protocollo scolastico – Ma cosa sta accadendo nel fin qui (quasi) impeccabile Lazio? Da almeno due settimane Pier Luigi Bartoletti, segretario romano del Fimmg (il sindacato dei medici di famiglia) e, soprattutto, responsabile regionale delle Uscar (unità mobili anti-Covid), si sta sgolando cercando di far capire ai vertici dell’Unità di crisi regionale che il protocollo teorizzato per le scuole “presenta delle falle importanti”. Quali? Il documento varato il 21 settembre 2020 dall’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, indica sì i test antigenici (quelli rapidi con risultato in 30 minuti) come “strumento diagnostico di primo livello” ma lascia tutti gli oneri in mano ai genitori. Secondo il protocollo, quando un alunno presenta i sintomi del Covid a scuola (anche un raffreddore forte o una febbre leggera) il ragazzo viene isolato e viene poi allertato il Sisp (Servizio di igiene e sanità pubblica) che a sua volta avverte i genitori. Il papà o la mamma di turno deve passare a prendere il figlio a scuola e accompagnarlo a fare il tampone drive-in dopo prescrizione pediatrica. Medici che ancora oggi tendono a prescrivere all’intera famiglia i test molecolari, la cui attesa dei risultati è salita, come detto, a oltre una settimana di media. E per ogni ragazzo trovato positivo, nonostante le raccomandazioni delle Asl, i presidi reagiscono in maniera diversa: c’è chi chiude l’intera scuola, chi manda in quarantena solo la classe. Tutti però finiscono a fare il tampone. Drive-in, ovviamente. “Sono settimane che dico che vanno fatti i test rapidi sul posto, senza scomodare più di tanto i genitori, e questo è il risultato”, lo sfogo di Bartoletti.

Raddoppiano i drive-in, coinvolti i medici di famiglia – La situazione è talmente difficile che la Regione Lazio sta cercando di adottare delle contromisure, intraprendendo la strada dell’aumento dei tamponi drive-in, con la proposta di nuove aree. Fra queste, nella Capitale, a breve ci sarà anche la nota area di Tor Vergata dedicata a Karol Wojtyla, che nel 2000 ospitò la Giornata mondiale della Gioventù in occasione del Giubileo. In totale, a oggi sono 38 i drive-in allestiti dall’Unità di crisi regionale, l’obiettivo è superare i 50 punti entro la prossima settimana. Potrebbe non bastare. Proprio Bartoletti, nei giorni scorsi ha lanciato l’appello ai “suoi” medici di base alla ricerca di 500 “volontari” che si prodighino a svolgere i test antigenici nei loro studi, liberando così i laboratori. “Dovremo arrivare al punto – afferma ancora il segretario Fimmg – di fare i molecolari solo a conferma delle positività di antigenici, molecolari e salivari”. Ieri la Regione ha raccolto l’invito di Bartoletti e ha inviato una circolare ai medici di base e ai pediatri affinché diano priorità ai tamponi rapidi e, allo stesso tempo, sta lavorando a un’ordinanza che accolga la possibilità di svolgerli direttamente nei loro studi. “Tutte le prescrizioni dei test molecolari non accompagnate da dettagliata scheda di notifica alle Asl dovranno essere gestite come prescrizione di antigenici”, impone la circolare di D’Amato. “Un tamponificio che serve a poco”, secondo il direttore sanitario dell’Istituto Spallanzani, Francesco Vaia, che torna a chiedere “soluzioni strutturali per assicurare la distanza sui mezzi pubblici e a scuola”.

Le Asl sono già in affanno: nessuna risposta ai numeri del Sisp – Per tradurre sulla carta gli sforzi dell’unità di crisi, tuttavia, servirebbe un’organizzazione territoriale impeccabile. Che però non appare al momento tale. Il Fatto Quotidiano ha raccontato la storia di Anna, una donna “reclusa” in casa da quasi due settimane dopo aver atteso, insieme al figlio di 5 anni, il tampone a domicilio della Asl Roma 2 per ben 9 giorni. La donna aveva ricevuto dagli addetti del Santa Caterina di Largo Preneste anche un numero dedicato, ma sia quello, sia il centralino generico della Asl hanno squillato a vuoto per 10 giorni. E non è l’unico caso. Su un gruppo Facebook che raccoglie i residenti del quartiere Appio-Tuscolano, diversi genitori denunciano la “confusione” commessa sempre dalla Asl Roma 2, che ha scambiato i nominativi, le date di nascita e probabilmente i risultati dei tamponi degli studenti del Liceo Augusto di via Gela. A Civitavecchia la signora Alessandra, docente presso una scuola di Santa Marinella, attende da 35 giorni il risultato del sierologico effettuato il 3 settembre: il test, in teoria, sarebbe dovuto servire come screening per l’accesso all’insegnamento, ma la donna ha comunque preso servizio, dando per scontato che il suo referto fosse stato in qualche modo “smarrito” o semplicemente “negativo e per questo non comunicato”. Anche il numero della Asl Roma 5 squilla vuoto: da San Cesareo, in provincia di Roma, un uomo denuncia a Ilfattoquotidiano.it di star chiamando da giorni il numero del Sisp locale, senza mai ricevere risposta: abbiamo provato a verificare, ma anche le nostre telefonate sono finite nel vuoto. “Le assunzioni promesse non sono ancora arrivate, e questo è il risultato”, afferma lapidario Roberto Chierchia, segretario regionale della Cisl Fp.

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