Per l’uscita dal carbone non serve realizzare nuove centrali a gas: è sufficiente aumentare l’attività di quelle esistenti da circa 3.200 ore all’anno a 4mila. Ma, comunque, non è una soluzione auspicabile, perché se da un lato permetterebbe di compensare la mancata produzione di energia elettrica generata dal carbone, dall’altro richiederebbe un aumento dei consumi di metano. È un’altra, invece, la strada che Legambiente traccia nel dossier ‘La decarbonizzazione in Italia non passa per il gas’ pubblicato a pochi giorni dallo sciopero nazionale per il clima, previsto per il 9 ottobre. La strada, infatti, è quella di uno stop al carbone e alla realizzazione di nuovi impianti di gas e di un’accelerazione, invece, verso la riconversione degli impianti a biogas in quelli a biometano da immettere in rete, le semplificazioni per rinnovabili (a partire da solare ed eolico) e sistemi di accumulo, con il recepimento della direttiva europea per sbloccare definitivamente le comunità energetiche.

L’ANALISI – Nel dossier l’associazione ambientalista spiega perché l’Italia deve evitare la “corsa al gas”, ricordando che nella Penisola sono già presenti un numero sufficiente di impianti, realizzati dopo il blackout del settembre 2003, attraverso il decreto sblocca centrali dell’allora governo Berlusconi. Negli ultimi due decenni le nuove centrali elettriche a metano costruite hanno prodotto una situazione di sovrabbondanza: oggi, infatti, il parco di generazione esistente ammonta a 115mila MW di potenza installata, quasi il doppio rispetto alla domanda massima sulla rete (58.219 MW nel luglio 2019, fonte Terna). “Più che realizzare nuovi impianti – spiega Legambiente – basterebbe aumentare le ore medie annue di esercizio delle centrali a gas esistenti passando da 3.261 a 4mila ore”. Ma non sarebbe comunque quella la soluzione. Per Legambiente, infatti, bisogna invece puntare a una “riduzione dei consumi di gas, accompagnata anche da interventi di efficientamento, come quello del riscaldamento civile (da convertire a pompe di calore alimentate elettricamente) e dall’elettrificazione dei trasporti, a partire dallo sviluppo del un sistema pubblico collettivo (bus, tram, metro), e della mobilità elettrica, i cui consumi possono essere soddisfatti da sistemi di generazione diffusi attraverso le fonti rinnovabili”.

GLI STEP DA COMPIERE – In questa ottica, per l’associazione, il primo passo da compiere è la chiusura entro il 2025 delle centrali a carbone per una capacità di oltre 7.900 MW senza ricorrere a nuovi impianti a gas, per arrivare entro il 2040 alla chiusura di tutte le centrali inquinanti alimentate da fonti fossili, gas metano compreso. Il secondo passo sarebbe quello di ridurre fino ad azzerare i consumi di gas al 2040 “iniziando da subito a non distribuire più risorse economiche per nuovi impianti come previsto con il Capacity Market”. Risorse che si potrebbero usare per incentivare la diffusione delle fonti rinnovabili nella Penisola, a partire da solare ed eolico “di cui il nostro Paese ha grandi potenziali, con numeri di installazioni ben più alti di quelli fino ad oggi trattati anche nei cosiddetti anni d’oro (2009 – 2011)”.

I FALSI MITI SUL METANO – Nel dossier Legambiente sfata anche alcuni falsi miti sul metano e sul suo presunto ruolo come fonte di transizione energetica. “Il metano non aiuta nel processo di decarbonizzazione, – si legge nel dossier – come hanno dimostrato i problemi legati alle perdite in atmosfera, che si aggiungono al peso delle nuove estrazioni di shale gas” e neppure contribuisce a una “mitigazione parziale rispetto ad altri combustibili fossili”. Il metano, poi, è un gas serra molto più potente della CO2, specialmente su tempi brevi: “72 volte nei primi 20 anni dalla sua dispersione in atmosfera”. Sono dati che preoccupano, soprattutto alla luce del fatto che “la presenza media del metano in atmosfera terrestre, passata dal 1750 ad oggi da 0,7 a 1,8 ppm (parti per milione), dopo un periodo di sostanziale stabilità tra il 1990 e il 2007, è ripresa a salire rapidamente.

LA STRADA SBAGLIATA – Legambiente rilancia il tema della decarbonizzazione in Italia per sostenere tutti quei giovani che scenderanno in piazza per chiedere interventi e politiche più concrete, a partire dall’abbandono delle fonti fossili e dallo stop ai sussidi ambientalmente dannosi (sono circa 19 i miliardi di euro arrivati in un anno alle fonti fossili, tra sussidi diretti e indiretti, a danno dell’ambiente). “Il governo italiano sta sbagliando strada sulla lotta alla crisi climatica – spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – perché nel settore della produzione di energia promuove la riconversione a gas delle centrali a carbone, investe su nuove infrastrutture per il trasporto del metano fossile, sostiene progetti sbagliati come quello di Eni che vuole confinare la CO2 nei fondali marini davanti alla costa ravennate”. Legambiente ricorda che ci sono i fondi europei disponibili per le aree di transizione, il cosiddetto Just Trasition Fund: ossia circa 7,5 miliardi di euro destinati alla conversione industriale di centrali a carbone, gasolio e altre fonti inquinanti. L’Italia si è aggiudicata 364 milioni a fronte di un contributo pari al 12% del Reddito Nazionale Lordo (vale a dire di circa 900 milioni). Risorse in grado di mobilitare investimenti pubblici e privati per oltre 4,8 miliardi. Senza dimenticare il Recovery Fund (parte di quei fondi possono essere destinati per la lotta alla crisi climatica). “Il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) approvato da Bruxelles – spiega Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente – prevede la realizzazione di nuovi gasdotti e rigassificatori, senza tener conto che già oggi la capacità di importazione è largamente sovradimensionata e sprecando così risorse che potrebbero, invece, andare a finanziare l’azione climatica. È assolutamente inaccettabile che di fronte all’emergenza climatica si punti su una fonte fossile, in sostituzione di un’altra fonte fossile”.

I LUOGHI DELLA TRANSIZIONE – Infine nel dossier Legambiente fa il punto su alcuni luoghi al centro della transizione energetica. Dalla Sardegna, dove è arrivato lo stop alla dorsale del metano attraverso il decreto Semplificazioni, alla Liguria con la Spezia, dove è necessario riattivare il tavolo di confronto pubblico sui progetti da realizzare nei 70 ettari di territorio in cui si trova l’attuale centrale a carbone che dovrà essere chiusa nel 2021). Dal Friuli-Venezia Giulia con Monfalcone, alla Puglia con Brindisi, solo per citarne alcuni, dove sono in corso accesi dibattiti visto che con il phasing out del carbone molte delle centrali saranno riconvertite in impianti a gas.

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