Il 19 settembre prossimo la Chiesa cattolica celebra la festa di San Gennaro. A Napoli, dove il santo è il patrono principale, sarà festa nell’attesa che si rinnovi il prodigio della liquefazione del sangue del vescovo di Benevento martirizzato nel 305 dopo Cristo a Pozzuoli. Ogni anno la teca che contiene le due ampolle col sangue di San Gennaro viene venerata da migliaia di fedeli che la toccano, la baciano e se la pongono sulla fronte.

Quest’anno, a causa del coronavirus, non sarà possibile fare tutto ciò e la devozione popolare verso San Gennaro, da sempre molto forte, sarà privata di un atto importante, anzi fondamentale: quel contatto fisico con la reliquia più preziosa del patrono di Napoli. Un contatto che, nello stesso tempo, esprime affetto e fede. Ma che, bisogna ammetterlo, a volte viene anche interpretato, in buona e in cattiva fede, come superstizioso.

Sarà, dunque, una festa di San Gennaro priva di un momento molto importante, come lo sono state in questi mesi tante altre celebrazioni dei patroni, in Italia e nel mondo. E come lo sono state anche tante liturgie a partire dal marzo scorso. Basta pensare alla Pasqua 2020 vissuta in pieno lockdown e con celebrazioni soltanto in streaming. Modalità alle quali si è dovuto attenere anche Papa Francesco.

Del resto, a distanza di tanti mesi ormai dalla fine del lockdown, le restrizioni per le celebrazioni e le attività pastorali sono ancora molto forti e non si vede nessun accenno affinché si possa, seppure lentamente, tornare alle vecchie abitudini. Da più parti, vescovi e parroci sottolineano la necessità di ripartire, ovviamente in sicurezza. In questo lungo periodo di astinenza dalle celebrazioni fisiche, dalla partecipazione ai sacramenti e dalle attività pastorali è emerso un bisogno di sacro che forse in Italia si stava smarrendo, o per lo meno sottovalutando.

Questo bisogno non deve essere preso sottogamba da coloro che ai vertici sono chiamati a guidare la Chiesa. L’immagine che è entrata nei cuori di tutto mondo e che veramente ha fermato il pianeta è quella del 27 marzo scorso: Papa Francesco solo e sotto la pioggia che sale a piedi il cosiddetto ventaglio per raggiungere il sagrato di piazza San Pietro e da lì pregare per la fine della pandemia. È l’immagine più forte finora del pontificato di Bergoglio.

Immagini e parole che hanno fermato il tempo facendo percepire al mondo intero, di qualsiasi credo religioso, la gravità del momento vissuto e la fragilità di un’umanità che all’epoca della globalizzazione non solo si è scoperta inerme, ma bisognosa di fraternità per uscire dalla crisi più spaventosa dal secondo dopoguerra a oggi. Non è, dunque, un caso se, proprio in quella accorata, commossa, ma tutt’altro che solitaria preghiera del Papa per la fine della pandemia, Francesco abbia rimarcato molto il tema della fratellanza umana: “Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo”.

Un tema, quello della fratellanza umana, sul quale Bergoglio ha puntato gran parte del suo pontificato, soprattutto in chiave ecumenica. Ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, insieme con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, Francesco ha firmato il documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. In questo testo, di fondamentale importanza per i rapporti con il mondo islamico ma non solo, risuona l’invito dei due leader religiosi “alla riconciliazione e alla fratellanza tra tutti i credenti, anzi tra i credenti e i non credenti, e tra tutte le persone di buona volontà”. Ma anche “un appello a ogni coscienza viva che ripudia la violenza aberrante e l’estremismo cieco; appello a chi ama i valori di tolleranza e di fratellanza, promossi e incoraggiati dalle religioni”.

Temi che ritorneranno nella nuova, la terza, enciclica di Bergoglio intitolata Fratelli tutti. Un documento “sulla fraternità e l’amicizia sociale”, come recita il sottotitolo. Simbolicamente il Papa la firmerà ad Assisi, sulla tomba di San Francesco, dopo avervi celebrato la messa in privato, a causa del coronavirus, il pomeriggio del 3 ottobre. Giorno in cui, nel 1226, il frate morì anche se la Chiesa cattolica lo celebra il 4 ottobre. Anche questo documento, a dispetto di quanto erroneamente credono in molti, sarà molto focalizzato sul tema dell’ecumenismo e non sul dopo pandemia.

E sarà la naturale prosecuzione, con uno sguardo globale, della dichiarazione firmata ad Abu Dhabi. Bergoglio, che dal celebre Cantico delle creature ha tratto il titolo della sua seconda enciclica, quella sociale, Laudato si’, torna a sviluppare un tema francescano, quello appunto della fratellanza. È nota la stupenda pagina della biografia del frate poverello che, nel 1219, si recò in Egitto per incontrare il sultano Al-Malik al-Kamel.

È significativo che, esattamente ottocento anni dopo, il Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco abbia firmato il documento sulla fratellanza umana con il Grande Imam di Al-Azhar. Segno eloquente di una continuità, nella Chiesa cattolica, che rifiuta le assolutizzazioni delle tifoserie che si rinnovano a ogni pontificato, mettendo i Papi l’uno contro l’altro, ma che ha, invece, l’unico obiettivo di trasmettere fedelmente il messaggio del Vangelo. Un messaggio scomodo ieri come oggi. Ma di pace e fratellanza universale.

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