Quando avevo tra i venti e i trenta anni se nella mia generazione, di attuali sessantenni, qualcuno si metteva a svolgere attivamente l’attività politica veniva considerato dagli altri come un incapace che, furbescamente, cercava una strada per tirare a campare visto che non aveva altre opportunità. Prevaleva in quel periodo l’ottimismo verso le prospettive lavorative e di realizzazione personale con la convinzione di riuscire a “fare nostro” il futuro.

Scoprimmo come generazione che coloro che avevano una decina di anni in più avevano occupato tutti i posti di potere nei tribunali, giornali, università, ospedali etc e che soprattutto non avevano nessuna intenzione di mollarli. Alcuni di coloro che si erano buttati in politica ottennero e stanno ottenendo posti di potere molto importanti che forse loro stessi neanche si potevano immaginare. Fortunatamente la mia generazione ha avuto molte opportunità e molti di noi sono riusciti a realizzare i loro sogni e desideri.

Queste considerazioni mi venivano in mente dopo aver letto una lettera indirizzata a Michele Serra sul giornale La Repubblica, la sua risposta e le prese di posizione successive sull’argomento. In sostanza è vero che una generazione, nata nel dopoguerra sull’onda del sessantotto, ha occupato e continua pervicacemente ad occupare tutti i luoghi del potere? In ambito universitario, che conosco abbastanza bene, i professori, nella stragrande maggioranza, attendono fino all’ultimo per poi venire messi forzatamente a riposo per raggiunti limiti di età a settanta anni.

Anche successivamente diversi di loro voglio continuare a esercitare la loro influenza con ruoli costruiti ad personam. Quando il passato governo fece una legge per pensionare i magistrati a settanta anni venne attaccato duramente dalla categoria tanto che alcuni affermano che le iniziative giudiziarie nei confronti dei rappresentanti di quell’esecutivo sono frutto di questo duro scontro.

La sensazione che la classe dirigente politica, dell’informazione, della così detta cultura sia abbarbicata e attaccata come una cozza al potere è molto forte. L’obiezione che i giovani non sanno sgomitare, come invece avrebbero fatto loro nel sessantotto, attaccando le strutture sociali preesistenti viene portata avanti accanto alla convinzione che abbiano molto meno da dire e non brillino sul piano culturale. Addirittura qualche anziano pare offeso da queste considerazione con atteggiamenti di lesa maestà affermando tra le righe per parafrasare il Re Sole “dopo di noi il diluvio!”.

Un dato anagrafico non viene menzionato in questa diatriba. Nel Sessantotto un numero molto ampio di giovani, frutto delle nascite del dopoguerra, fronteggiava una sparuta minoranza di anziani. Ora la piramide si è capovolta per cui i nostri figli vedono con apprensione il futuro perché sanno che dovranno mantenere in pensione e purtroppo anche in molti luoghi di potere tanti anziani.

Era certo più facile per un numero molto consistente di giovani in una società in cui i posti di potere erano in grandissimo aumento in quanto si moltiplicavano i giornali, gli ospedali, le università e le istituzioni trovare spazi. Ora avviene l’esatto contrario con la necessaria contrazione, in base alla demografia.

I politici di lungo corso che sono nell’agone politico fin da ragazzi si sprecano e non vogliono mollare l’osso costruendo leggi elettorali bloccate che li favoriscono. Anche i 5 stelle che avevano portato una ventata di novità con i limiti di due mandati ora ricorrono ad artefici tipo il “mandato zero“.

Nella società è palese la volontà degli anziani di continuare a comandare e di lasciare ai giovani solo ruoli marginali. Faccio parte degli anziani; anche io mi trovo dibattuto fra la voglia di non lasciare, visto che nel mio lavoro mi trovo appagato, e la consapevolezza che occorre favorire un ricambio di idee che solo i giovani possono apportare.

Il mio timore è che se noi anziani non siamo disposti a lasciare alcuni privilegi quali pensioni decisamente superiori a ciò che abbiamo contribuito a costruire e luoghi di potere sociale e culturale occupati fino alla morte fra i giovani prevarrà l’idea di dover distruggere tutto.

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