Manager di ferro durante gli anni in Fiat di cui fu consigliere, amministratore delegato e presidente. Ma soprattutto lo storico braccio destro di Gianni Agnelli. Poi fu al vertice di Gemina e Rcs. A 97 anni è morto Cesare Romiti: aveva 97 anni ed era nato a Roma. Fu protagonista del capitalismo italiano, uno dei più potenti manager del Paese. Messaggi di cordoglio arrivano dal mondo della politica e dell’economia. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato un messsaggio in cui lo definisce “un importante protagonista di una impegnativa e controversa stagione delle relazioni industriali e del capitalismo italiano, in presenza di profonde trasformazioni dei mercati internazionali e di spinta a modifiche negli assetti del nostro Paese”.

Figlio di un impiegato delle Poste, laurea in scienze economiche e commerciali, i suoi primi passi da manager, Romiti li aveva mossi dal 1947 a Colleferro, nel Gruppo Bombrini Parodi Delfino. Nel ’70 l’Iri lo chiama in Alitalia: direttore generale, poi amministratore delegato. Nel ’73 è all’Italstat. Dal 1974 in Fiat: vive gli anni del forte potere sindacale, delle fabbriche ingovernabili, del terrorismo. Arrivato nel momento della crisi energetica, si dedica innanzitutto all’opera di risanamento finanziario, prosegue sviluppando la dimensione internazionale dell’azienda e rafforzando gli insediamenti produttivi in Italia. Ha contribuito a realizzare diversi stabilimenti per la Fiat fra cui Belo Horizonte (Brasile) che è oggi trai più grandi impianto di automobili al mondo. Nel 1976 diventa amministratore delegato insieme con Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti. L’Ingegnere lasciò dopo solo 150 giorni, ma il dualismo tra Romiti e De Benedetti, due visioni diverse, si trascinerà’ per anni. Cesare Romiti era rimasto solo, al posto di comando, quando il 14 ottobre 1980, dopo 35 giorni di scioperi, 40.000 quadri della Fiat scesero in piazza contro il sindacato, che poco dopo arrivò all’accordo su una pesante riorganizzazione.

È nel luglio 1980 quando Umberto Agnelli lascia gli incarichi operativi in Fiat che Romiti, che ha la fiducia di Cuccia, diventa amministratore delegato unico del gruppo. E affronta il tema nodale dei costi annunciando il licenziamento di 14 mila dipendenti. Lo scontro con i sindacati è forte e Mirafiori è bloccata dai sindacati per oltre un mese. La Fiat riprende a fare utili, lancia nuovi prodotti, chiude nel 1982 lo stabilimento del Lingotto, aumenta gli investimenti, riduce i dipendenti. Nel 1987 è il secondo gruppo italiano dopo l’Iri. Un risultato che porta la firma di Romiti e di Vittorio Ghidella, il responsabile del settore auto. Poi arriva la guerra del Golfo e le vendite di auto diminuiscono, nel 1990 il marchio Fiat scende in Italia sotto il 40%. E quando nel 1996, a 75 anni, l’Avvocato lasciò la presidenza di Fiat per diventarne presidente onorario, il testimone passò proprio a Romiti. Che resto presidente fino al 1998, quando anche per lui scattò il limite dei 75 anni. Romiti precorre i tempi quando nel 1991 è vicino ad acquistare Chrysler (operazione portata a termine dall’altro manager che fu ad e presidente, Sergio Marchionne); anni dopo in una intervista spiegò: ”Io e Gianni Agnelli avevamo concluso l’operazione ma Umberto Agnelli si mise di traverso”. Due caratteri diversi, l’approccio morbido di Umberto Agnelli, spesso in contrasto con il ”pugno di ferro” di Romiti.

Sono anche gli anni di Tangentopoli, che tocca anche Fiat: Romiti viene condannato per falso in bilancio, ma la sentenza sarà revocata nel 2003 quando non era più reato. Poi nel 1998 lascia la Fiat dopo 24 anni ai vertici, con una buonuscita da 101,50 milioni lordi che lo impegnava a non rivelare segreti sugli affari del gruppo. Romiti arriva nell’holding finanziaria Gemina che, tra l’altro, aveva rilevato da Mediobanca il controllo di Rcs; fino al 2005 è azionista di Impregilo, ed entrerà poi nel business delle infrastrutture con la privatizzazione di Aeroporti di Roma. In Rcs Romiti è stato presidente dal 1998 al 2004. L’uscita da Gemina nel 2007.

Dal 2005 al 2007, presidente della Accademia di Belle Arti di Roma fino al luglio 2013. Nel 2003 costituisce la Fondazione Italia-Cina, nella quale poi copre la carica di presidente onorario. Romiti ha avuto la medaglia di Cavaliere del lavoro nel 1978, il titolo di cittadino onorario della Cina, il titolo di professore onorario dell’Università Donghua di Shanghai e molti altri riconoscimenti. Il 13 ottobre 2006 a Pechino la “Chinese Peoplès Association for Friendship with Foreign Countries” gli conferisce la cittadinanza onoraria della Repubblica Popolare Cinese per il suo impegno nel rafforzamento dei rapporti bilaterali sino-italiani. Viene insignito dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine Nazionale della Legion d’Honneur francese. Il 7 ottobre 2010 è premiato dal primo ministro Wen Jiabao in occasione dell’Anno della cultura cinese in Italia.

”Anche se avessi il desiderio di entrare in politica non ne sarei capace. Io dico sempre quello che penso”, disse una volta Romiti dei suoi rapporti con la politica. Mai una tessera di partito, solo una tentazione, confessò in una intervista, quando Silvio Berlusconi gli chiese di candidarsi sindaco a Roma contro Walter Veltroni (ma poi scelse Antonio Tajani). Nel 2014 in una intervista al Corriere della Sera disse: “Ora l’Italia è da ricostruire. Come dopo la guerra. Sono molto angosciato per il mio Paese, in particolare per il debito pubblico e la disoccupazione. Manca il lavoro, quindi manca tutto: prospettive, dignità, fiducia. Fortunati i centomila che sono potuti andare all’estero”.

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