di Jakub Stanislaw Golebiewski

L’esperienza della Dad (Didattica a Distanza) durante il periodo del lockdown ha reso ancora più evidente che necessitiamo di una politica per la scuola tempestiva e lungimirante. Molto su questo è stato già detto e commentato in un serrato dibattito politico che ha lasciato però le riflessioni sulla scuola solo agli “addetti ai lavori”. Questa volta non basta, serve un quadro chiaro e soprattutto un diverso punto di vista, quello di uno dei principali gruppi di stakeholder della scuola stessa: i genitori.

Da quanto emerge dal primo report dell’indagine nazionale Che ne pensi? La Dad dal punto di vista dei genitori, predisposto e pubblicato recentemente da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’università di Milano-Bicocca, i dati raccolti sono più che allarmanti in un paese che fatica a cambiare rotta.

L’indagine ha raggiunto un campione di circa 7.000 genitori di bambini e ragazzi di scuola primaria e secondaria, per un totale di circa 10.000 bambini e ragazzi, fornendo un quadro generale di com’è stata percepita e vissuta da loro questa esperienza. Al questionario online avrebbe dovuto rispondere solo un genitore e così è stato ma per il 94% sono state donne, di nazionalità italiana, con un’età media di 42 anni e con una composizione familiare che vede la presenza di un partner.

Nulla di nuovo quindi, il dato è la riprova del fatto che la cura dei figli e la ricaduta sociale della didattica a distanza in Italia grava ancora completamente sulle spalle delle mamme. Il 65.5% di esse ritiene che la didattica a distanza non sia compatibile con il lavoro, così come il 65.2% ritiene non sostenibile un regime didattico misto per metà in presenza a scuola e per metà a casa con la Dad.

La percezione delle potenziali conseguenze sul lavoro delle donne si riflettono sul numero significativo di chi ha considerato la possibilità di abbandonarlo se la Dad continuasse, il 30.3%. Se così fosse, e sarebbe drammatico, una mamma su tre pensa già di lasciare il lavoro se dovesse continuare la didattica a distanza, il tutto aggravato da una dimensione emotiva demoralizzante. Hanno dominato sentimenti di frustrazione, solitudine e rabbia uniti ad ansia e inadeguatezza all’interno di una giostra quotidiana in cui le mamme acrobate hanno dovuto conciliare il supporto scolastico ai figli alla propria attività lavorativa.

Ma i padri? Per l’indagine della Bicocca sono risultati assenti ingiustificati, ma c’è anche da dire che con la pandemia è cambiato l’uso del loro tempo, costringendoli a modificare il modus operandi all’interno delle famiglie. Certo, non è sufficiente ma è sicuramente un importante primo passo su cui scommettere, un esempio per tutti i quei padri che hanno voglia di rincorrere una nuova “rivoluzione paterna” e di cui ho scritto approfonditamente nel mio ultimo post.

I numeri dell’indagine evidenziano soprattutto che le donne sono state confinate a casa dallo smart working più degli uomini alimentando inevitabilmente i conflitti tra lavoro retribuito e non, e che, in particolare, tra prima e dopo il periodo di lockdown poco è cambiato nella divisione del lavoro all’interno dei nuclei familiari. Se da una parte il lavoro in casa e di cura dei figli è aumentato per tutti, dall’altra per le donne questo è avvenuto in misura maggiore.

E’ un dato oggettivo e preoccupante dal quale possiamo trarre importanti spunti di riflessione per il futuro. Il primo è che la politica ha la responsabilità di rinforzare la scuola, oggi messa a nudo dalle storiche e ben note fragilità che richiedono investimenti seri e strutturati nel tempo. La totale chiusura degli istituti scolastici va invece vista come l’extrema ratio facendo attenzione a non abusarne.

Durante il lockdown la percezione che ho avuto è stata quella classica dello “scarica barili”, chi avrebbe dovuto cercare una soluzione immediata ed efficace ha solo gettato il peso sulle spalle delle famiglie e soprattutto delle donne. Cosa possiamo fare noi padri per rientrare responsabilmente all’interno del lavoro di cura dei figli se dovessimo incappare in una seconda ondata di lockdown e Dad?

Innanzitutto, laddove possibile, massimizzare lo smart working, modificando la postura da genitore passivo specializzato “nel guardare” a genitore attivo che dedica molto più tempo “al fare”. In subordine ogni papà dovrebbe utilizzare al massimo i congedi parentali, sia obbligatori di paternità che facoltativi. Questi ultimi sono tra gli strumenti di policy più efficaci per aumentare il coinvolgimento dei padri che riequilibra il divario di genere nella ripartizione del lavoro non retribuito e creare una maggiore uguaglianza di genere in famiglia e di conseguenza nel mercato del lavoro.

Fino a quando questo timido salto non si tradurrà in un permanente e sostenibile riequilibrio dei ruoli, significherà che ci siamo solo fermati al primo e unico passo di una rivoluzione paterna già incompiuta.

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