Ci voleva un’estate così, un’estate che ci ridimensiona, un’estate che in un certo modo vorrebbe assomigliare alle belle estati a chilometro zero di una volta, quelle che chi se lo poteva permettere andava al mare in riviera romagnola o sull’Appennino tosco-emiliano, mentre i più poveri rimanevano a casa ad annoiarsi o a piangere sotto ai portici. Una volta non c’erano molte opzioni e per i forzati della città non c’era nemmeno la compagnia innaturale di quel turismo fatto di gente in ciabatte che scendeva dai voli RyanAir e si rimpinzava di salumi fino a notte fonda.
Quei tempi per adesso sono finiti. Ora chi rimane in città la subisce di brutto proprio come la si subiva una volta, agli altri non resta che farsi piacere le snobbatissime seconde case dei genitori/nonni sull’Appennino o quelle in riviera. Salire su un aereo per andare all’estero a fare le stesse cose che si possono fare a chilometro zero per ore rimarrà un desiderio indotto da rimandare a tempi migliori.
Intanto in città le serrande dei negozi se ne staranno abbassate fino alla fine del mese, in riviera c’è il tutto esaurito, sull’Appennino idem e la domanda che sorge spontanea è: ma tutta ‘sta miseria che scrivono sui giornali dov’è?
Poi sblocchi la schermata home dello smartphone, entri nei social network e vedi che genti di Appennino, riviera e città sono tutte lì in una specie di perenne smartworking vacanziero a scriversi qualcosa, senza mai perdersi di vista per un po’ come accadeva nelle belle estati di una volta, quelle dove esisteva ancora una cultura del tempo “libero” e si staccava sul serio.
Eccola la “miseria”.
Poteva andare peggio, dai.
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