di Claudia De Martino*

Lunedì scorso un gruppuscolo di manifestanti si è riunito a piazza San Silvestro a Roma nell’apatia generale di un Paese travolto dal Covid-19 e ormai solo consacrato alle vacanze, per protestare contro il rifinanziamento della “guardia costiera libica” appena votato dal nostro Parlamento. Fine luglio, si sa, come Natale, sono ottimi periodi per far passare nella disattenzione generale delle decisioni scomode.

L’accordo bilaterale Italia-Libia, in vigore dal 2017, era stato già rinnovato lo scorso febbraio 2020 e ora mancavano solo i fondi per assicurarne il regolare svolgimento nei prossimi tre anni (2020-2023). Esso prevede il finanziamento della Guardia costiera libica delegandole la mansione di bloccare i flussi di migranti prima che possano imbarcarsi alla volta dell’Europa.

Per assolvere a questa delicata funzione, distaccamenti della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri vengono inviati in Libia per accompagnare la Guardia costiera locale, composta per lo più di ex miliziani e trafficanti d’uomini, tra cui ovviamente anche tanti pericolosi ex jihadisti, che però fortunatamente lavorano per noi.

Tale finanziamento, che negli ultimi tre anni è ammontato a 784 milioni di euro (come riportato da Annalisa Camilli nel suo splendido pezzo) – non così pochi, se si pensa alla difficoltà con cui sono stati reperiti i circa 344 milioni da destinare all’edilizia scolastica leggera necessari a far tornare gli studenti italiani a scuola a settembre! – non impone vincoli alcuni alla cosiddetta Guardia libica, né standard da ottemperare.

Include l’unico obiettivo italiano: fermare alla frontiera libica quanti più migranti, mostrando che esiste una forte continuità tra governi di destra e di centro-sinistra sui valori di fondo (evidente anche nel voto alla Camera, che ha approvato l’Accordo con oltre 400 deputati favorevoli).

Nelle parole del Ministero degli esteri italiano, però, l’accordo pare dotarsi di un obiettivo umanitario: “Una riduzione dell’assistenza italiana alla Libia avrebbe potuto tradursi nella sospensione dell’attività della Guardia costiera libica, con gravi conseguenze in termini di partenze, altre tragedie in mare e deteriorazione delle condizioni dei migranti nei centri di accoglienza”.

In sintesi, i 784 milioni versati servirebbero ad evitare che la guardia costiera libica ci ricatti lasciando passare i migranti nel Mediterraneo, costringendoci a scelte dolorose come ammassarli in campi di prima accoglienza o vederli affogare in mare. Che cosa sono, in fondo, 784 milioni per risparmiarsi un dilemma etico?

Non solo. Poiché gli Italiani, come ben noto, sono “brava gente”, l’Accordo prevede anche l’ingresso della società civile italiana nei campi in Libia per il monitoraggio degli standard umanitari minimi: peccato che queste Ong, che agiscono per conto e su finanziamento del Maeci, concorrano nell’obiettivo di migliorare i campi esistenti e crearne di nuovi per aumentarne la capienza complessiva, come denunciato nell’ultimo rapporto Asgi.

La securizzazione dei flussi migratori avviene con il beneplacito della Commissione Europea, che sostiene attivamente il processo di esternalizzazione del controllo delle frontiere della Ue (si veda l’accordo siglato con la Turchia nel marzo 2016) e che, avendo sempre criticato la missione di salvataggio “Mare Nostrum”, l’ha progressivamente sostituita con le molto più efficaci operazioni marittime “Mare sicuro” della Marina militare italiana, “Med Irini” della forza europea Eunavfor e Seaguardian della Nato, concentrate sul pattugliamento delle coste libiche affinché non sfugga nemmeno un barcone.

L’esternalizzazione si è rivelata un metodo vincente: il coordinamento delle presunte operazioni di salvataggio a largo della Libia è stato demandato a Tripoli e non più ai centri di coordinazione marittima europei – La Valletta e Roma – come avveniva fino al 2017. La Guardia costiera libica è inoltre efficace, se ci si attiene al dato del rimpatrio dal 2017 di oltre 40.000 migranti che avevano già preso la via del mare.

Già, perché non si sta più parlando del circa milione di profughi arrivati in Europa nel 2015 – l’anno record per le migrazioni, che infatti ha marcato un cambio di passo protezionistico nella gestione dei confini – ma di cifre molto più basse: 12.553 persone giunte in Italia, 31.819 persone per tutta l’Ue per il 2020 (dati del Ministero dell’Interno e Iom aggiornati a luglio 2020), pari ad un incremento dello 0,007% della popolazione.

Di fronte a questa emergenza epocale, è chiaro che la paura di una sostituzione etnica serpeggi. Paura ulteriormente alimentata dalla diffusione della convinzione che siano quegli stessi migranti, che prima portavano solo criminalità, a diffondere il Covid-19, magari fuggendo dal campo di prima accoglienza di Porto Empedocle.

Non bisogna dunque stupirsi che la Guardia costiera libica appena rifinanziata prenda sul serio la propria missione, sparando ai migranti che tentano di fuggire, come avvenuto martedì sulla costa ad est di Tripoli: essa ha infatti compreso ancora meglio di noi che l’opinione pubblica italiana sarebbe disposta a tutto pur di non far approdare in Sicilia alcun migrante.

*ricercatrice ed esperta di questioni mediorientali

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