La rotta di 17 navi militari turche in acque greche fa ulteriormente crescere la tensione tra Ankara e Atene. Dopo la trasformazione del museo di Santa Sofia in moschea, un’altra mossa scomposta di Erdogan rischia di far avvicinare i due paesi ad un punto di rottura.

La Turchia ha inviato una nave da ricerca Oruc Reis al largo di Kastellorizo, isola greca resa celebre dal capolavoro di Gabriele Salvatores, Mediterraneo. Le indagini turche alla ricerca di gas sono annunciate da oggi sino al 2 agosto, ma la flotta greca è stata messa in allerta dopo la partenza delle fregate turche dalla base navale di Aksaz, che scortano la nave da ricerca.

A ciò si aggiungano le continue provocazioni degli F-16 turchi, che invadono lo spazio aereo ellenico sulle isole di Strongyli e Megisti: secondo il Ministero della Difesa greco decine di violazioni sono state registrate nella sola mattinata del 21 luglio. Per questo il capo delle forze armate greche, il generale Konstantinos Floros, ha abbandonato le celebrazioni a Cipro per ricordare l’invasione turca del 1974, per rientrare rapidamente ad Atene e monitorare l’evoluzione della situazione (dopo aver incontrato nei giorni scorsi il suo omologo israeliano, Aviv Kohavi). A testimoniare la delicatezza del momento spicca la decisione della Marina ellenica di richiamare tutti coloro che si trovavano in licenza.

Erdogan punta alla polarizzazione della propria strategia energetica su tutto il versante mediterraneo: il memorandum siglato con la Libia infatti, che presenta profili di dubbia consistenza, ha provocato forti reazioni da parte di Ue, Usa e Francia perché “dimentica” dalla mappa l’isola greca di Creta, che appartiene ad uno stato membro dell’Ue. La Turkish Oil Company (TRAO) lo scorso 30 maggio ha ottenuto le licenze per l’esplorazione dei nuovi blocchi identificati nel memorandum turco-libico, da Rodi alla parte est di Creta orientale, con la possibilità di entrare in azione ai primi di settembre. Sul punto si registra la reazione da parte di Berlino: la visita ad Atene del ministro degli esteri tedesco Haiko Maas del 21 luglio era finalizzata ad analizzare la questione greco-turca da vicino e provare ad evitare una possibile escalation.

Escalation che dalle parole di Erdogan sembra invece ad un passo. “Non abbiamo bisogno del permesso di nessuno per le nostre navi e le nostre piattaforme di perforazione – ha dichiarato -. Qualunque sia il diritto internazionale del mare e qualunque siano i nostri diritti nel Mediterraneo orientale, in questo contesto abbiamo preso le misure e continueremo allo stesso modo”. Come dire che non presta attenzione ai riverberi che la sua azione sta avendo, particolarmente a Washington e Parigi.

La Casa Bianca segue da vicino il dossier energetico, avendo da tempo siglato un accordo con la Grecia per nuove basi militari: proprio oggi nel porto ellenico di Alexandroupoli sono sbarcati tremila marines Usa a bordo della nave Endurance. L’occasione è rappresentata dall’esercitazione Nato “Atlantic Resolve 2020” ma quel fazzoletto di acque greche ha assunto un’importanza strategica, perché lì transiteranno sia il gasdotto Tap che il Tanap e gli Usa sono decisi a fare da muro alle eventuali intenzioni turche.

L’Eliseo è stato il primo a reagire quando, quasi due anni fa, le fregate turche impedirono il transito delle navi di Eni e Total nelle acque della Zee cipriota per le legittime perforazioni. La nave Saipem dell’Eni fece retromarcia, mentre successivamente giunsero in loco la Sesta Flotta americana e due fregate francesi che fanno ancora la spola nei porti ciprioti. “Il comportamento illegale e provocatorio della Turchia è una grave minaccia non solo alla pace e alla stabilità nel Mediterraneo orientale ma alla coesione della Nato e alle sue relazioni con l’Unione europea”, ha commentato il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias dopo l’incontro con il suo omologo tedesco.

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