Nessun progresso, ma solo “la prova di un reato”, un affronto. Così un investigatore italiano impegnato nella ricerca della verità sull’uccisione di Giulio Regeni ha commentato a Repubblica l’ultima falsa apertura da parte delle autorità egiziane sulle indagini. Il 20 giugno era circolata la notizia che Il Cairo aveva deciso di inviare ai pm di Roma, a quattro anni dall’omicidio, documenti ed effetti personali del ricercatore di Fiumicello. Falso, secondo la ricostruzione del quotidiano: il passaporto e le tessere universitarie erano già stati riconsegnati alla famiglia. Oggi Claudio Regeni e Paola Deffendi hanno ricevuto solo oggetti ritrovati nella casa di uno dei cinque innocenti, membri di una fantomatica banda, uccisi dalle forze di sicurezza egiziane in un tentativo di depistaggio messo in piedi dall’intelligence del generale Abdel Fattah al-Sisi. Nello specifico: un marsupio rosso, alcuni occhiali da sole, un cellulare, un pezzo di hashish, un orologio, un bancomat e due borselli neri. Ma nessuno di questi apparteneva a Giulio, come hanno già raccontato i familiari: sono parte del tentativo del 2016 di deviare le indagini sulla pista, poi smentita, del sequestro a scopo di riscatto. Tra gli oggetti personali inviati in Italia mancavano, inoltre, i vestiti indossati dal giovane ricercatore il giorno del ritrovamento, ben più interessanti da un punto di vista investigativo.

È stata questa, fino ad ora, la risposta del Cairo alle continue richieste della Procura di Roma, che nel 2019 inviò una rogatoria in cui, tra le altre cose, si chiedeva di fornire il domicilio legale dei cinque membri dei servizi segreti indagati per l’omicidio, uno dei quali è tra i protagonisti della messinscena del depistaggio che ha portato all’uccisione della “banda” egiziana. Richieste rinnovate nei giorni scorsi anche dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che dopo l’ultima telefonata con al-Sisi ha autorizzato una maxi-commessa militare da 10 miliardi di euro circa, e dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Ma all’appello di autorità e governo italiano non è seguita alcuna risposta concreta da parte dell’Egitto che, intanto, ha anche ipotizzato un intervento militare in Libia al fianco del generale Khalifa Haftar, nemico del Governo di Accordo Nazionale, guidato da Fayez al-Sarraj, riconosciuto dall’Onu e alleato dell’Italia.

Prossimo appuntamento il 1 luglio, quando ci sarà un nuovo incontro tra la Procura egiziana e quella romana, nel quale la seconda si aspetta risposte alle domande e sulle richieste contenute nella rogatoria del 2019. A quel punto si capirà se la partnership tra i due Paesi, la cui importanza è stata recentemente ribadita da Conte e Di Maio, porterà i suoi frutti anche riguardo alle indagini sull’omicidio Regeni.

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