A Jacinda Ardern, la meravigliosa Primo Ministro neozelandese che sta riscrivendo il manuale di come si possa essere un fantastico politico e un’amorevolissima madre allo stesso tempo, è scappato persino un balletto in casa quando ha potuto annunciare alla popolazione che la Nuova Zelanda era Covid-free, non avendo registrato nuovi casi per oltre due settimane e non avendo un solo caso attivo in tutto il paese. In questo lato del mondo la Nuova Zelanda non è l’unico paese ad aver raggiunto tale invidiabile status: altre nazioni come la Papua Nuova Guinea, East Timor, Fiji, Samoa e Tonga sono nella medesima situazione.

L’obiezione è facilmente prevedibile: la Nuova Zelanda è un paese poco popolato – circa 5 milioni di persone contro i quasi 27 milioni di pecore -, distante da tutto e tutti, con confini alquanto impermeabili essendo un’isola remota e con un distanziamento sociale naturale, visti gli immensi spazi a fronte di un numero esiguo di abitanti. Tutto vero e sacrosanto. Ma sarebbe semplicistico e sbagliato non cercare di capirne di più e magari assorbire qualche lezione e buona pratica da utilizzare in altri contesti.

Quali sono stati dunque i segreti di questa piccola nazione nel Pacifico?

1. Una catena di comando cortissima. A differenza dell’Italia, dove abbiamo avuto frotte di virologi, pseudo-esperti, politici e compagnia bella pronti a fornire commenti, notizie e raccomandazioni ogni giorno, in Nuova Zelanda le persone deputate a parlare sono state due: la stessa Ardern e il Direttore Generale della sanità Ashley Bloomfield. Nessun altro si è impossessato della scena per confondere le acque.

2. Una pianificazione pazzesca, che ha portato il Governo a prendere misure drastiche in largo anticipo, quando il numero dei casi era ancora basso. Come un giorno rispose la Ardern, quando la rimproverarono di aver avviato il lockdown con soli 102 casi nel Paese: “Anche l’Italia ad un certo momento aveva solo 102 casi… e vedete poi cosa è successo”.

3. Il concetto, molto anglosassone, di “walk the talk”, che potremmo tradurre in “predica bene e razzola meglio”. Riprova di ciò, il fatto che il ministero della Salute David Clark è stato declassato dopo aver ignorato il lockdown e aver portato la propria famillia a fare una scampagnata in una spiaggia a 20 km da casa sua, nel primo weekend di applicazione delle nuove misure restrittive. Clark, invece di gridare al complotto, si è semplicemente definito un idiota. Suona poco familiare, vero?

4. L’aver creato – con una sapiente comunicazione – l’idea che tutto il Paese è nella medesima condizione e situazione, compresi i politici di alto rango ed altre personalità di spicco. Questa è stata sempre la grande forza della Ardern, che in altre dolorose circostanze – come l’attentato terroristico alle moschee di Christchurch che 15 mesi fa costò la vita a 51 persone – è sempre riuscita a creare un senso di comunità, dove lo Stato non è considerato altro rispetto alla gente.

Questo mi pare alquanto differente dalla situazione italiana, dove cresce il malcontento e si amplificano le proteste di varie categorie che accusano il Governo di ogni nefandezza, con la solita narrativa della classe politica che se ne frega della popolazione e pensa solo agli affari propri. In Nuova Zelanda tale recriminazione non si verifica, in quanto non esiste tale dicotomia tra la Stato e popolazione, considerati un unicum e non antagonisti.

5. Da ultimo, ed è una logica conseguenza di quanto esposto in precedenza, colpisce l’attenzione della persone e della stampa per le storie individuali, piuttosto che per i numeri. Certo, è più facile concentrarsi sulle storie individuali quando il numero dei morti è ridotto – solo 22 fino ad oggi.

Ma il focus sullo storytelling fa parte di un approccio al Covid che nazioni come la Nuova Zelanda e in parte l’Australia hanno promosso durante la crisi: poca ricerca dello scandalo e del terrore, uno sforzo congiunto di tranquillizzare la popolazione e proteggerle con misure forti e minuziosamente pianificate. Tenendo sempre in primo piano le persone, le loro esigenze, le loro storie e i loro legami familiari. E ricordandoci che non siamo numeri, ma essere umani.

Il miracolo neozelandese nasce da un mix di tutti questi ingredienti. L’Italia è troppo grande, avanzata, eurocentrica e supponente per poter imparare da esperienze virtuose di altri Paesi, seppur piccoli? Lascio a voi la risposta… nella speranza di essere smentito.

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