Offese a non meglio specificati “loro” che “collaborano con Satana“, rivendicazioni sull’epidemia “che non esiste” e attacchi ai “negazionisti di Bibbiano“. E poi insulti misti diretti un po’ a tutti: al governo, alle banche, all’Europa, ovviamente pure al presidente della Repubblica e a quello del consiglio. Dopo le denunce rimediate a Milano, i gilet arancioni di Antonio Pappalardo fanno tappa a Roma. Sono qualche centinaio, sostano a piazza del Popolo, dove in mattinata si sono dati appuntamento i leader del centrodestra. In quel caso ha fatto scalpore una manifestazione che da virtuale si è trasformata in corteo senza regole: folla e assembramenti per ascoltare Matteo Salvini e Giorgia Meloni. All’evento dei gilet arancioni, invece, si registra un record: sono state violate tutte, ma proprio tutte, le norme anticontagio. In pochissimi indossavano la mascherina nella calca, nessuno dei relatori ne aveva una. Il leader orange lo ha pure rivendicato col suo solito stile: “Chi mi mette la mascherina prende schiaffi, già ci sono dei ricoveri per l’uso eccessivo delle mascherine“. Le immagini della piazza, invece, sembrano arrivare direttamente dal periodo pre contagio: le persone non sono tantissime – meno di mille, probabilmente – ma stanno tutte completamente appiccicate senza alcun dispositivo di protezione individuale.

Solo qualche giorno fa il medesimo atteggiamento è costato una denuncia all’ex generale Pappalardo. Che però non demorde e rilancia col suo solito copione condito di minacce, battute e fake news: “È una boiata questa pandemia. A Milano hanno detto che i lombardi in piazza non avevano le mascherine? E io ho detto perché si vogliono bene“. Sembra una candid camera, una provocazione organizzata a tavolino e invece è l’ennesimo spettacolo tragicomico della politica italiana. “È importante ristabilire il rapporto umano, abbracciamo tutti. Mi posso prendere il coronavirus? E vediamo, a quanto pare il virus ha paura di me e non mi attacca”, sostiene il leader della sgangherata rivoluzione arancione. “Siamo stati costretti a vivere nelle nostre abitazioni come reclusi – continua – mentre mascalzoni vendono il nostro paese alle potenze straniere”. Di cosa sta parlando? Non si sa, però è l’occasione per citare un po’ di fascismo a casaccio: “Mussolini durante la marcia su Roma non l’ha fermato nessuno, ma a noi ci vogliono fermare, hanno fermato i nostri pullman per non farci manifestare”.

Come sempre l’intervento dell’ex militare, già sottosegretario alle Finanze di Carlo Azeglio Ciampi (sembra assurdo ma è la verità), è variopinto e senza alcun tipo di ratio. Minaccia i suoi stessi supporters (“Se domani non siete in piazza vi taglio le orecchie“), se la prende con i nemici immaginari che secondo lui vorrebbero processarlo per la sua voce rauca (“la mia voce è così perché rappresento voi che siete incazzati”) invita il pubblico a ribellarsi contro gli eterni poteri occulti (“Popolo, esci dal guscio, scendi in piazza, ribellati!”). Ovviamente i nemici sono ovunque e hanno sempre mezzi potentissimi: “Scusate se gli altoparlanti non funzionano bene ma noi non abbiamo i soldi di loro“, dice più volte l’ex carabiniere ai suoi. Poi accusa “il capo dello Stato e del governo” di aver fatto “gravissimi reati” senza però mai specificare quali. Dopo un attimo cambia idea e fa una distinzione: “Sono tutti impiegati, compreso il capo dello Stato che gira la testa dall’altra parte. E il capo del Governo con gravissimi reati e ne deve rispondere con la sua testa“. Quell’accenno alla testa fa entusiasmare il pubblico.

Pappalardo si gasa e scomoda Falcone e Borsellino perché – sostiene – “se fossero vivi arresterebbero questi cialtroni”. Quali cialtroni? Poi se la prende con Matteo Salvini. Il motivo? “Nicola Porro mi ha chiamato per un’intervista, ma è arrivata la telefonata di Salvini che mi ha rubato l’intervista. E’ un furto, Salvini non pensi di poter fare quello che vuole. Non ci ferma nessuno”. Quindi nuovo attacco Vasco Rossi, reo di aver perculato gli arancioni sui social: “Vasco Rossi, è meglio che canti”, minaccia il caudillo d’Orange. La platea risponde certa: “Vasco Rossi è massone “. Standing ovation quando l’ex generale ha chiesto di approvare per alzata di mano i provvedimenti simbolo del suo movimento: “Via il governo Conte, eleggere un nuovo Parlamento con una nuova legge elettorale, stampare la nostra moneta nazionale, la Lira!”. La folla ha intonato il coro: “Lira, Lira”.

Tutto finito? Neanche per idea. Dopo Pappalardo tocca agli altri “dirigenti”. “Stiamo facendo la guerra ai mulini al vento, dobbiamo svegliarci o stiamo parlando di un caz..?”, chiede – retorico – un tale Dario. I descamisados dell’Aperol applaudono: le parolacce sono particolarmente apprezzate. Il giovane rilancia e provoca mostrando sprezzo del pericolo: “Se io sono un pazzo questa gente è pazza come me. Fateci a tutti il Tso. La pandemia non è mai esistita“. La platea soddisfatta grida “libertà“, “vogliamo essere liberi“, ma non si capisce bene da cosa e da chi. Altro relatore, un tale Stefano: “Siamo qui per la libertà di pensiero perché vogliamo decidere come poter vivere siamo perfettamente consapevoli che c’è stata un’emergenza sanitaria, Non discutiamo su questo, ma non ci devono essere obblighi perché altrimenti tutto si trasforma in una dittatura”. Intervento moscio, zero offese e insulti, la folla si lamenta: “Non ci interessano queste chiacchiere”. Il signor Pino, presentato come uno dei fedelissimi di Pappalardo, spiega quale sia l’obiettivo dei gilet: “Dopo l’impeachment al Parlamento e a Mattarella, noi andremo a sostituirli”. Viene da sorridere, ma forse è meglio fare gli scongiuri. Pappalardo è pur sempre uno che riuscito a farsi nominare sottosegretario.

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