Per quindici stagioni calciatore simbolo della Roma, di cui è stato per anni capitano e numero dieci dell’Italia di Vicini. Il romano Giuseppe Giannini non meritava una partita di addio al calcio come quella che gli toccò vivere il 17 maggio del 2000. Allo stadio Olimpico, quello che per molto tempo era stato la sua casa, alcuni tifosi giallorossi rovinarono la festa al calciatore. Ce l’avevano con la società, non con il vecchio capitano. La rabbia era montata anche perché la Lazio aveva vinto lo scudetto solo pochi giorni prima.

Vent’anni fa con la Roma Amarcord scesero in campo, tra gli altri, Tancredi, Prohaska, Voeller, Righetti, Maldera e Bruno Conti. Dall’altra parte con la Nazionale ’90 si presentarono giocatori come Baresi, Bergomi, Schillaci e Vierchowod. Il primo tempo si concluse 1-1, gol di Voeller e Carnevale. Il Principe indossò la maglia azzurra e si stava mettendo quella giallorossa per i secondi quarantacinque minuti. Ma i tifosi invasero il campo, distruggendo il terreno di gioco, le panchine e le porte. Il secondo tempo non si giocò più.

“Non doveva finire così, doveva finire con qualcosa di meglio”, Giannini pianse al microfono. Non era solo emozione, era proprio dolore per il trattamento subito. A stringerlo tra le braccia c’erano altre due icone giallorosse con cui aveva condiviso parti importanti della sua carriera. Con Bruno Conti giocò negli anni Ottanta. L’esordio di Giannini è del gennaio 1982 ed era nella rosa, senza alcuna presenza, anche nella stagione dello scudetto di Liedholm. A Francesco Totti, l’altro idolo ad essergli accanto in quel momento, ha fatto da chioccia agli inizi di carriera. Giannini alla Roma rimase fino al 1996, a trentadue anni andò a giocare in Austria dopo 437 partite in giallorosso.

Dalla curva intanto comparve uno striscione improvvisato con la scritta “Scusa”. Ma era troppo tardi, la partita di addio al calcio di Giannini era ormai rovinata. “Batistuta dove sta?” fu uno dei cori degli Ultras contro la presidenza Sensi. Di lì a poche settimane l’argentino sarebbe arrivato davvero a Roma dalla Fiorentina. Con lui la Roma di Totti capitano e Capello allenatore avrebbe vinto il campionato successivo, appena un anno dopo quello dei cugini laziali. Bruno Conti aveva dato l’addio al calcio nove anni prima di Giannini, la Roma Campione d’Italia ’83 aveva sfidato una Selezione di sudamericani, composta soprattutto da calciatori che giocavano nel 1991 in serie A. L’Olimpico era strapieno, la festa in onore del Brunetto Mundial fu bellissima. Francesco si ritirerà nel 2017, ma ad una partita di addio al calcio non ha ancora pensato.

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