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di Monica Valendino

Italiani popolo di santi, poeti, navigatori, allenatori e, da qualche settimana, anche costituzionalisti che si chiedono se nella nostra Carta è più importante l’articolo 1 (l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro) o il 32 (la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti). Più o meno come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina, ma tant’è di questi tempi quando nessuno capisce che il Governo si destreggia per garantire entrambi pur con le esigenze dovute a un’emergenza mai vista in epoca contemporanea.

Il lavoro è fondamentale, certo, ma sarebbe più opportuno puntare l’indice verso un discorso più ampio, l’economia che da esso ne trae la linfa vitale. Per rilanciarla si discute soprattutto di temi inerenti ai fondi che l’Europa dovrebbe fornire. Al di là di come il Vecchio Continente dimostri la sua inadeguatezza politica, vanno ricordati quali siano gli strumenti ad oggi sul tavolo.

Il famigerato “Mes”, il fondo salva stati modificato ad hoc per l’occorrenza. Altro non è che un sussidio vincolato fortemente a determinati piani di rilancio economico per chi ne fa uso. Non più come accaduto con la Grecia, ma con vincoli non chiari che potrebbero creare problemi per le manovre economiche prossime venture. Inoltre prevedrebbe investimenti solo sul piano sanitario, limitanti quindi nell’uso dei circa 30 miliardi che potrebbero arrivare.

Poi ci sono i bond europei, quelli su cui tutti sembrano d’accordo (tranne la Lega che prima li invoca poi li boccia all’Europarlamento). Cosa sono? Un debito pubblico emesso dalla Bce con tasso agevolato e che a dieci anni dovrebbe essere ripagato dai diciassette paesi dell’Eurozona. Ovviamente i paesi più virtuosi sul piano del debito pubblico lo ripudiano. La possibilità che vengano approvati, con circa 30 miliardi anche qui nelle casse statali, sono infinitamente basse, più o meno come quelle di una cometa che colpisce la Terra nel 2020.

All’orizzonte ora si è paventato il prestito a fondo perduto. Accolto con favore dalla maggioranza e tanto per cambiare non dall’opposizione, si tratterebbe (in attesa dei dettagli che non si sa quando verranno esplicati) di un prestito senza tassi d’interesse se investito in determinati ambiti (ancora da chiarire pure questo punto), con sempre 30 miliardi che entrerebbero in Italia.

La forma di aiuto più ambita, ma praticamente impraticabile, è il sussidio completamente gratuito. Insomma, comunque la si veda tutto quello che l’Italia chiede ad oggi sono altri debiti, più o meno convenienti. La situazione si complica se si pensa che fare altro debito interno è un’arma a doppio taglio: liquidità subito, ma allo scadere manovre da lacrime e sangue per estinguerlo.

Ovvero l’errore fatto fin qui da tutti i governi, con alcuni ancora più colpevoli (il debito bunga bunga di B. e compagnia nel 2012 ha prodotto l’arrivo del professor Monti e della sua inevitabile revisione di spesa, mentre un domani potrebbe arrivare Draghi con le sue privatizzazioni di massa).

L’opposizione intanto chiede di stampare moneta per ovviare al problema. Inevitabile ricordare che la stessa cosa l’ha fatta Menem in Argentina, producendo carta straccia – senza contare che l’Euro ha vincoli ben precisi. Cosa fare allora? Pierluigi Bersani ha indicato la terza via: “È possibile che in Italia solo il 6% dei contribuenti dichiari più di 50mila euro?”, ha detto l’ex segretario Pd.

Allora perché ostinarsi a chiedere aiuti, senza mettere mano con leggi severe in merito di evasione, corruzione, opere inutili (vedi Tav), appalti dubbi, che porterebbero almeno 200 miliardi in cassa annualmente? Una domanda che da anni più o meno suona come se sia nato prima l’uovo o la gallina.

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