Il 12 marzo su questo blog ho pubblicato un post, scritto la settimana precedente, in cui proponevo, da quello che ne so primo in Italia, una applicazione per permettere alle persone risultate positive al Covid di avvertire i contatti degli ultimi quindici giorni.

Credo molto nella prevenzione e nel tracciamento del contagio, per cui sono contento che stia per essere varata l’applicazione Immuni. Vedo però una grossa falla per cui ritengo utile proporre una soluzione, in anticipo sul lancio. Provo a spiegarmi con un esempio personale.

Circa due anni or sono un paziente, visibilmente raffreddato, venne nel mio studio. Mentre mi parlava starnutiva e si soffiava il naso per quello che appariva un “bel raffreddore”. Ricordo che non gli diedi la mano, dicendogli che non volevo ammalarmi.

Fatto che, purtroppo, avvenne dopo una settimana. Stetti a casa dal lavoro per tre giorni, poi tornai in studio con ancora i residui del raffreddore che forse, senza volere, trasmisi ad altri. In quel frangente non mi venne certo in mente di chiedere i danni al paziente che mi aveva infettato per il mancato lavoro.

A quel che ne so per i contagi da malattie infettive, trasmissibili per via aerea, non vi sono accuse civili o penali. Per quanto riguarda la trasmissione di un virus, invece, ricordo il caso di un ragazzo affetto da Hiv condannato penalmente, in quanto aveva infettato varie ragazze con rapporti sessuali non protetti, senza avvertirle di essere malato.

Tornando al Covid è chiaro che ci troviamo di fronte ad una malattia molto grave e ci potrebbe essere il rischio che qualcuno possa risentirsi psicologicamente, fino ad accusare chi lo ha infettato.

Se per caso qualcuno scarica la applicazione Immuni e, dopo un mese, gli arriva una notifica che recita: “Lei negli ultimi quindici giorni ha avuto contatti con un paziente ora Covid positivo“, la persona può mettere in atto strategia di isolamento familiare e lavorativo con indubbio vantaggio. C’è però il rischio che possa cominciare a pensare: “Dove sono stato infettato? E da chi?”. Prima guarderà i familiari poi, una volta esclusi loro, i colleghi di lavoro (come mai quel collega è a casa in malattia?) o altri che ha incontrato.

Potrebbe telefonare all’amico per chiedergli “Come stai?” e arguire la verità dalla sua “non risposta” o dalla voce con tosse. Potrebbe chiedere a conoscenti in comune. Insomma avrebbe discrete probabilità di capire chi sia la persona, ora infetta, che ha incontrato. Se poi si ammalasse di una forma grave che dura un mese e mezzo (fra decorso clinico e isolamento domiciliare), l’idea di una richiesta di risarcimento gli potrebbe balenare.

A sua volta dovrebbe, sempre tramite l’applicazione Immuni, avvertire le persone che ha incontrato della sua infezione. A quel punto il pensiero che anche loro, con una rapida indagine, possano risalire a lui come “untore” gli verrebbe sicuramente. Se per caso è stato a trovare qualcuno in una residenza sanitaria protetta potrebbe essere accusato di aver provocato, senza rendersene conto, una strage. Nel malaugurato caso che morisse i suoi parenti potrebbero addirittura richiedere danni ingenti.

Insomma l’aspetto psicologico del senso di colpa e quello legale della paura di una denuncia potrebbero influire molto sulla mancata adozione della App. Credo che, come minimo, il governo dovrebbe chiarire l’aspetto legale, escludendo la punibilità di colui che, senza dolo, infetta un’altra persona, sia in ambito lavorativo che personale.

Non sono un esperto di legge, ma credo che nessuno correrebbe il rischio di mettere la pulce nell’orecchio di potenziali suoi accusatori tramite l’applicazione, se avesse l’idea di una possibile, futura accusa. Soprattutto se si tratta di un professionista tipo notaio, avvocato, commercialista, medico, idraulico, muratore…

Il fatto che l’infezione di un cliente si determini pone rischi anche di natura contrattuale. Il cliente potrebbe affermare che si è recato in quello studio sano e che ha ricevuto un grave danno dal professionista. A posteriori, andare a valutare se tutte le regole, le procedure, le accortezze e i dispositivi erano perfetti, potrebbe divenire difficile.

Definire se è stata una dabbenaggine andare a trovare il nonno nella residenza sanitaria oppure aver tenuto aperta un’attività, magari perché a corto di denaro, potrebbe risultare controverso. Insomma non è il caso di addentrarsi in procedimenti giudiziari.

Per cui c’è il rischio concreto che molte persone non scarichino la applicazione Immuni per evitarli. Dobbiamo inoltre tenere presente il potenziale senso di colpa che, in certi casi, potrebbe divenire devastante e portare a gravi forme di malessere.

Nell’infettato l’aggressività potrebbe montare contro colui che gli ha cambiato la vita e portare a intentare cause legali, anche se ha scarse possibilità di vincerle. Lo spettacolo delle procure che paiono fare a gara a inquisire i responsabili delle residenze sanitarie protette fa molto riflettere.

La malattia infettiva grave porta con sé un alone negativo. Nel Medioevo le persone che si ritenevano colpevoli di provocare un’infezione venivano aggredite e bruciate vive. Anche in questo frangente corriamo il rischio, se identificati come causa, di ricevere accuse infondate, anche se noi stessi siamo vittima del contagio.

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