Si è aperto in Germania il primo processo che vede imputati due uomini dei servizi segreti siriani: Eyad al-Gharib e Anwar Raslan sono accusati di crimini contro l’umanità davanti all’Alta Corte Regionale di Coblenza.

Raslan era fuggito dalla Siria, mischiandosi con la marea di profughi siriani arrivati in Germania dal 2013 in poi. Fra il 2011 e il 2012 è stato a capo della sezione 251 dei servizi segreti nella capitale siriana. Fra quelle mura, avrebbe messo in moto la macchina della tortura nella quale sono passate oltre 4000 persone. Ma non basta. Secondo l’accusa, l’ex ufficiale sarebbe responsabile della morte di 58 persone e di violenza sessuale e stupro di alcune donne.

Mentre su Gharib, semplice agente distaccato in una delle numerose sezioni dei servizi segreti siriani, pende l’accusa di tortura.

Sappiamo molto delle violenze dello Stato Islamico e di altri gruppi fondamentalisti che operano in Siria. Poco ancora ci è chiaro a riguardo dei crimini compiuti dal regime siriano, autore di una repressione feroce che ha piegato l’opposizione democratica siriana che nel 2011 scese in piazza a chiedere riforme.

La maggior parte dei morti nel conflitto siriano sono stati causati da bombardamenti indiscriminati, come ci riferiscono molte organizzazioni per la tutela dei diritti umani. Decine di migliaia sarebbero i morti all’interno delle strutture carcerarie siriane, uccisi sotto tortura da uomini come Raslan e Gharib che hanno avuto dalla loro un apparato repressivo che affonda le sue radici in decenni di storia, fin dal gerarca nazista Alois Brunner. Fu infatti questo ufficiale scampato dalla Germania dopo il secondo conflitto ad aver offerto i suoi servigi per la costruzioni dell’apparato repressivo più potente in Medioriente.

Fa quindi riflettere e sperare che due uomini dei servizi siriani siano ora condotti davanti a una corte e alle loro colpe. Quello che non deve però accadere è che conclusa questa vicenda si chiuda il processo di giustizia in Siria. Perché trasformare questi due criminali in simboli, così da dire che giustizia è stata fatta, non aiuterebbe il processo di riconoscimento storico e legale che il genocidio siriano richiede.

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