Ed ecco spuntare il Covid Manager, una nuova figura nelle aziende che vogliano riprendere la produzione, convivendo con il coronavirus, ma cercando di tenerlo fuori dallo stabilimento. La crisi aguzza l’ingegno ed è questa una delle proposte che la Regione Veneto ha illustrato in videoconferenza alle parti sociali, imprenditori e sindacati, in vista della Fase 2. Il Covid Manager si affiancherebbe al classico responsabile della sicurezza, ma con un doppio obiettivo molto preciso. Primo: essere il referente unico per l’attuazione delle misure di prevenzione nell’azienda. Secondo: essere il punto di riferimento e di contatto per le strutture del Sistema sanitario regionale. Il piano è stato redatto dalla responsabile della Prevenzione, Francesca Russo, ed è stato illustrato assieme all’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin. Sarà comunque coordinato con le decisioni che saranno prese dal governo e che hanno come obiettivo il prossimo 4 maggio per cominciare l’apertura delle attività produttive, che però è in parte già cominciata.

Nella sostanza è un piano di sicurezza sanitaria, sia per chi si trova in un luogo di lavoro, che per chi vi accede (fornitori, trasportatori, clienti). L’individuazione di un Covid Manager (che può anche coincidere con il responsabile della sicurezza) è solo la prima fase prevista. Occorrerà poi un piano aziendale per individuare i rischi Covid, ovvero di contaminazione, dovuta al contatto delle persone. La terza fase è costituita dalla applicazione di dieci indicazioni operative. Eccole in dettaglio:

  • Igienizzazione e sanificazione degli ambienti di lavoro.
  • Informazione e formazione del personale.
  • Incentivazione di smart working e limitazione delle occasioni di contatto.
  • Rilevazione della temperatura corporea di lavoratori, fornitori, visitatori.
  • Obbligo di utilizzo di guanti e dispositivi di protezione delle vie respiratorie.
  • Mantenimento della distanza interpersonale di almeno un metro (criterio di distanza “droplet”) sia nelle postazioni di lavoro che negli ambienti comuni.
  • Rigorosa igiene delle mani e delle secrezioni respiratorie.
  • Uso razionale dei test diagnostici.
  • Tutela dei lavoratori più vulnerabili.
  • Gestione degli eventuali casi di positività.

Verrà preparato un manuale contenente le indicazioni operative e organizzative da rispettare perché un’impresa possa rimettersi in moto. Nel frattempo è stata avviata una sperimentazione in dieci aziende, tutte in provincia di Padova, per un totale di mille lavoratori. Ma potrebbe essere estesa a 20 imprese, per complessivi 3mila lavoratori, nei settori manifatturiero, medicale, alimentari, costruzioni, servizi e agroalimentare.

Lo schema delle azioni preliminari prevede un accordo tra azienda e lavoratore. Segue la comunicazione dell’apertura. Subito dopo scatta il sistema di biosorveglianza per verificare se un lavoratore è guarito, immunizzato o quali fattori di rischio presenta. Viene preparato un questionario per codificare i contatti futuri nell’ambiente di lavoro. Il medico del lavoro esegue i tamponi che vengono inviati al laboratorio di analisi.

Quando un dipendente è in azienda, i suoi dati vengono immessi nel sistema di biosorveglianza. Se il lavoratore è guarito dal coronavirus è previsto un test rapido ogni 30 giorni. Ogni 20 giorni, invece, se è immunizzato. Ogni dieci giorni se è considerato suscettibile di malattia. Ogni giorno viene provata la febbre. Un lavoratore con temperatura corporea superiore ai 37,5 gradi non viene ammesso in azienda.

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