Stamattina sono arrivate. Prima una, poi tre, poi cinque… le ho viste planare sul prato fiorito selvaticamente ma con molti fiori gialli e poi innalzarsi veloci verso l’alto. Le rondini le ho cercate molto in questi giorni passati sul balcone. Non c’erano. Oggi sono arrivate.

Mi sono chiesto se già prima svolazzassero a mia insaputa sul cielo della piazza con i loro inconfondibili rumori da stormo, tipici della stagione. Ma a questo non posso dare risposta, perché non vado in piazza da più di un mese. Quando le ho viste mi sono ricordato del Movimento delle rondini, che fondai prima del 2000 con altri connazionali in Svizzera, in primis Paolo Vendola che per primo suggerì questa denominazione dicendo: “gli italiani all’estero sono come le rondini, migrano in continuazione e non riescono a capire dove abbiano il loro nido. Vanno, passano, poi tornano per ripartire…”.

Da allora le cerco sempre ogni anno e quest’anno sono arrivate tardi, ma ora ci sono, le ho viste. Poi arriveranno le cicale sul prato a creare quel sottofondo ritmato per il quale ho scelto di fare qui in Puglia il nido. Ma allora sarà il mare ad occupare l’attenzione dei miei pensieri. Dal balcone lo guardo ogni giorno e lui mi rimanda aria che sa di buono. Lo vedo intrappolato in fondo ad una scia di palazzine. È a trecento metri da me, ma mi regala la sua presenza riempiendomi le narici e mostrandomi le piccole onde che mi spiegano i venti, ora grecale, a volte maestrale, o scirocco. Sono le onde e il colore del mare a spiegartelo.

Il balcone è un mondo che parla, che risveglia la memoria nel suo profondo. È un mondo che sembra piccolo ma è immenso e alla fine ti accorgi che hai fatto tanta strada, e oggi ti basta anche un piccolo spazio di pochi metri quadri per essere felice. Mio padre, partigiano combattente durante la Resistenza nel Vittorio Veneto, mi ha spesso fatto capire come i suoi giorni passati in una prigione di Rovigo, dopo che fu catturato e condannato a morte dai nazisti, furono i suoi giorni più intensi.

Poi fu liberato da una azione partigiana, ma in quei giorni, in quella cella, aveva scoperto l’invincibilità della vita. Ci basta poco, lo stiamo scoprendo in questi giorni, perché la nostra vita ci appaia nella sua vera essenza al netto di tutto ciò di cui inutilmente ci circondiamo. Ci bastano 5 rondini, dei fiori, uno spicchio di mare per ricordarci da dove veniamo e dove andremo.

Attorno tanto rumore inutile, tante parole, fiumi di lacrime ed emozioni incontenibili. La memoria ci basta? Forse no, ma senza di essa non ci sentiremmo vivi. Per questo in questi giorni abbiamo paura. Perché è la memoria della nostra Comunità che cade in prima linea in questa guerra. I nostri anziani, i Custodi della Memoria, la parte strategica essenziale per una Comunità. Cadono come foglie, e senza passaggi intermedi. Cadono e basta, senza nomi e senza storie.

Senza Custodi una Comunità è sguarnita, debole, piena di angoscia e con l’incapacità di attivare la sua memoria collettiva. È questo che ci fa paura oggi, che ci spaventa, che ci deprime. È pericolosamente decimata la nostra Sapienza. Senza di essa non riusciremo più a capire perché le rondini sono arrivate a metà aprile, e la tecnologia, la scienza non potranno spiegarcelo fino in fondo.

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