Per l’assessore regionale Gallera la colpa è dei troppi cittadini che escono di casa, per il sindaco Beppe Sala i dati sui controlli dicono il contrario e “se qualcuno pensa che c’è troppa gente in giro, deve fare una una nuova ordinanza” per obbligare le persone a non uscire. Al netto delle diverse posizioni e dell’ennesimo capitolo del botta e risposta tra i possibili avversari alle elezioni comunali del 2021, l’unica certezza è che a Milano e provincia i numeri del contagio non migliorano come si sperava, al netto delle oscillazioni che possono verificarsi nell’arco delle singole giornate. Qualcosa, quindi, continua a non funzionare come dovrebbe. E mentre tra Regione e Comune continua il rimpallo di responsabilità, sul tavolo restano le falle del sistema sanitario e d’assistenza emerse nell’emergenza Covid-19: si va dal mancato isolamento delle persone positive al virus alla inadeguata assistenza domiciliare per le fasce più deboli della popolazione, fino all’enorme problema dei contagi interni alle famiglie.

Gallera: “Troppa gente in giro”. Sala: “Allora facciano una nuova ordinanza” – La polemica tra amministrazione comunale e Regione, tuttavia, segue altre strade. Ieri, commentando i dati relativi alla’andamento del virus a Milano e nella provincia, l’assessore al Welfare Giulio Gallera ha fatto presente di ricevere molte lamentele “perché c’è ancora troppa gente in giro”, ricordando e ribadendo che i controlli non spettano al Pirellone. “Il dato è stabile, ma non scende con quella determinazione con cui dovrebbe soprattutto a Milano città. Bisogna essere ancora più incisivi anche per rispetto di chi la quarantena la rispetta” ha detto il braccio destro di Fontana. Un riferimento, quello all’eccessiva circolazione di persone, che non è piaciuto al sindaco Beppe Sala. Che a distanza di 24 ore ha replicato con il consueto video sulle sue pagine social: “Se qualcuno pensa che c’è troppa gente in giro, deve fare una cosa molto semplice: facciano una nuova ordinanza che tenga più persone a casa, tutto qui” ha detto il primo cittadino, che poi ha utilizzato i dati per confutare le parole di Gallera.

Ieri mattina sono stato in giro per la città con la Polizia locale a vedere come vengono fatti i controlli – ha spiegato – e il pomeriggio mi sono messo in casa a guardare i dati dei controlli di ieri e dei giorni precedenti: più del 95% delle persone fermate sono in regola – ha sottolineato – questa è la realtà. Mi dissocio da questa retorica del milanese indisciplinato che si fa gli affari suoi, non è così”. Sala poi ha avanzato una richiesta: più mascherine, “molti più tamponi” e i test sierologici. “Leggo che Regione Lombardia dichiara che dal 21 di aprile si faranno 20 mila test al giorno. Bene, dove? – ha chiesto Sala – In altre province ma non Milano. Ma come, il problema non è Milano? Rendiamoci conto, il nostro compito, il nostro credo deve essere quello relativo al prendersi cura, a partire dai più poveri, da chi sta in periferia o vive in una casa popolare, a partire dai nostri vecchietti nelle Rsa – ha concluso – Questo è quello che bisogna fare”.

Le mancanze: isolamento dei positivi e assistenza domiciliare – Per chi vive la realtà milanese e lombarda, però, sono anche e soprattutto altre le cose che “bisogna fare”. Al momento, infatti, non è stato predisposto un piano di isolamento e assistenza delle persone positive al Covid, il che comporta una serie di conseguenze. Se una persona è contagiata, infatti, rimarrà in quarantena per i 28 giorni prescritti dalle direttive regionali, ma in qualche modo dovrà anche nutrirsi. E qui si aprono due strade. Se vive con altre persone (la sua famiglia o altri tipi di conviventi) si affiderà a loro per la spesa e queste andranno al supermercato, in farmacia, faranno code, il tutto dopo essere state a contatto con il convivente positivo al Covid, il che fa aumentare a dismisura la possibilità che anche loro siano positive. E se la persona contagiata vive da sola? Dovrà provare a farsi consegnare la spesa a domicilio (ma i servizi dei vari supermercati sono stati sospesi o sono ingolfati dalle migliaia di richieste) oppure sarà costretto a scendere di casa per acquistare i beni di prima necessità, con tutto quello che comporta in termini di diffusione del contagio. Terza via: tenterà di rivolgersi a una rete di assistenza domiciliare.

Che a Milano è affidata a volontari, alla solidarietà dei condomini e ad altre forme di umanità, non essendoci un sistema in grado di aiutare realmente le persone che vivono da sole. E che per questo motivo – specie se anziani o con altre patologie – rischiano di non nutrirsi a dovere, di restare disidratati e di non seguire i dettami dei protocolli sanitari, anche perché la figura del medico di base negli anni è stata caricata di troppi pazienti e poca libertà di movimento (per non parlare della mancanza di dispositivi di protezione individuale). Altra questione è quella dell’isolamento dei positivi. In Corea del Sud, paese all’avanguardia nella cura e nel contenimento del Covid, il vero argine al diffondersi del contagio è stato proprio il controllo capillare e la messa in sicurezza delle persone contagiate. In Lombardia, invece, i contagiati – per sintomi, perché i tamponi non vengono fatti ai pazienti a domicilio – come detto restano in casa, senza un protocollo di trattamento che vada oltre l’uso del paracetamolo, la possibilità di telefonare ai numeri di emergenza e col rischio di contagiare familiari e conviventi, anche perché non tutti hanno la possibilità di avere una camera e un bagno ad uso esclusivo.

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